
Nello specifico, abbiamo rilevato da testimonianze dirette e dai legali impegnati in questo difficile compito: 1) Un arbitrario e del tutto immotivato sequestro dei telefoni dei cittadini stranieri trasferiti nella cosiddetta “zona rossa”. Questo fatto ha compromesso la possibilità di comunicare tempestivamente con l’esterno e in particolare con la rete legale che si è messa a disposizione per fornire assistenza. 2) Il rimpatrio forzato di tre cittadini egiziani senza la possibilità di nominare un difensore di fiducia. Queste persone dovevano essere considerate perlomeno come dei testimoni in quanto erano presenti nella fasi che hanno portato al decesso di Vakhtang Enukidze. In particolare, siamo certi che una delle persone sia quella coinvolta nello scontro fisico con il cittadino georgiano e che sia stata rimpatriata con un trauma cranico. Addirittura, se fosse vera l’ipotesi della rissa formulata dalla Questura ci troveremo di fronte al rimpatrio del potenziale omicida.
Come è possibile procedere al rimpatrio in un momento cruciale come questo, dove qualsiasi testimonianza costituisce un dettaglio molto importante per ricostruire l’esatta dinamica dei fatti? Perché tutta questa fretta? 3) Fin dal giorno dopo il decesso di Vakhtang Enukidze abbiamo intrattenuto contatti con la comunità georgiana per dare vicinanza alla sua famiglia e sostenerli nella ricerca di verità e giustizia. Temiamo che l’Ambasciata italiana in Georgia abbia esercitato delle forti pressioni sui familiari per farsi assistere da un legale fornito dalla stesse autorità italiane. Al tempo stesso temiamo che il governo georgiano non voglia fare le doverose pressioni sullo Stato italiano per conoscere la verità.
L’Italia ha appena concesso l’esenzione del visto di ingresso per i cittadini georgiani. Per questo motivo paventiamo che le autorità georgiane possano non avere molto interesse ad approfondire la vicenda urtando le relazioni diplomatiche con l’Italia, nel contempo dubitiamo che possano volere avvocati che al contrario abbiano interesse ad accertare la responsabilità della polizia.
Le nostre preoccupazione trovano riscontro nel fatto che la procura conferma che fino a questa mattina nessuno si è costituito per la famiglia e per questo motivo l’autopsia è stata rinviata. Abbiamo comunque chiesto al Garante dei detenuti di seguire attentamente ogni dettaglio con un suo avvocato perché non vi siano interferenze e mutilazioni sui fatti accaduti che secondo le testimonianze raccolte vedono un ensamble tra violenza di polizia ed omissione di soccorso da parte degli operatori del CPR che non può in alcun modo venir taciuto e dimenticato. Ci teniamo infine a ringraziare il team legale (gli avv.ti Alessandra Arena, Caterina Bove, Andrea Guadagnini e Gianluca Vitale) che in queste ore si sta prodigando per risalire alla verità.