Tra il 7 e l’8 luglio al CPR di Torino è morto un giovane uomo, bengalese, di 32 anni. E’ dal 25 giugno che le persone trattenute all’interno del CPR di C.so Brunelleschi stanno provando in tutti i modi a far uscire da quelle gabbie gli innumerevoli abusi che accadono all’interno. Ci provano ogni giorno: scrivendo lettere alla procura, ai giornalisti e protestando. E’ morto un uomo bengalese di 32 anni dopo giorni e giorni di isolamento e la vicenda continua ad essere tutt’altro che chiara. Non siamo nemmeno certi del nome. Un uomo muore e nemmeno nella morte riacquista la libertà di avere un nome. Gli abusi all’interno dei CPR, non solo quello di Torino, sono all’ordine del giorno e sono di una gravità inaudita. Talmente gravi che sono del tutto ignorati dalla politica, perché quando sei recluso in quelle gabbie diventi invisibile, senza voce e non attiri le telecamere. E se muori, sei solo UN MORTO. L’unica cosa certa, l’unica dignità che rimane quando tutto intorno tace, quando le istituzioni non ti considerano nemmeno un essere umano, è il coraggio degli uomini che stanno denunciando gli abusi. Ieri sera, le proteste accese sono state sedate dalle cariche della polizia mentre fuori si teneva un presidio di solidali (lo stesso che la sera prima, l’8 luglio, era stato caricato anch’esso dalle forze “dell’ordine” che avevano picchiato anche un cronista). Tre i gravi fatti avvenuti: intanto la violenza sessuale e la morte per cause sconosciute. Una violenza costruita dentro il CPR, così gigantesca da far correre la voce che non si tratti della stessa persona perché violenza sessuale e morte nella stessa frase fanno paura in un centro di detenzione etnica governativo guardato a vista da decine e decine di militari e poliziotti “a garanzia della sicurezza delle persone, a tutela dell’incolumità delle persone”. Si, la tutela dell’abuso. E poi l’isolamento: persone rinchiuse in delle gabbie, dentro quelle più grandi gabbie che sono i CPR, senza che nessuna norma lo autorizzi. Persone isolate per non si sa bene quale ragione, a discrezione di chi in quel  momento comanda su di loro, senza alcuna possibilità di difendersi o di contestare quella decisione. Gabbie in luoghi che chiamano “ospedaletto”, dove però puoi morire senza che nessuno ti soccorra, senza che nessuno se ne accorga subito. Perché anche questo è un CPR. Un centro in cui la Campagna LasciateCIEntrare non riesce ad entrare. Non ci riesce il consigliere regionale Marco Grimaldi, dopo richiesta di autorizzazione; non ci riesce ieri sera l’avvocato Vitale, che è stato nominato e che chiedeva di entrare per verificare cosa stesse accadendo. Non ci riesce da tempo la Campagna perché non viene autorizzata a nessun accesso. Non ci riusciamo perché nei lager non può entrare l’occhio di chi potrebbe testimoniare degli orrori. Orrori, ripetiamo, portati avanti e quindi tutelati dalle forze dell’ordine. La Procura ha aperto un’inchiesta ma in questo stato di blindatura e sequestro delle persone trattenute non crediamo affatto possa esistere giustizia, perché la verità va nascosta: ce lo dicono le stesse persone recluse che da giorni all’interno del CPR stanno mettendo a rischio la propria incolumità per raccontare la verità. Una cosa soltanto è chiara: i CPR vanno chiusi tutti, sono lager di stato dove si opprime, dove si sperimentano forme gravi di persecuzione ed arbitrio del potere. E’ morto un uomo e noi vogliamo conoscerne il nome, la storia, le ultime ore; squarciare il muro dell’omertà. Gli uomini dentro il CPR stanno lottando per la verità, per la giustizia. NOI qui fuori, che siamo “liberi”, siamo ancora umani? Siamo ancora in grado di combattere per ciò che è giusto?

Video delle proteste dentro il CPR