Quando a fine settembre lanciammo un comunicato di solidarietà alla Sea Watch3 , sottoposta a fermo amministrativo (sotto accusa per “aver salvato troppe vite” ) nel porto di Reggio Calabria temevamo che le politiche migratorie del nuovo governo sarebbero peggiorate.

Gli Stati sono obbligati a garantire il coordinamento dei soccorsi anche al di fuori delle proprie acque di competenza SAR quando altri Stati competenti non possano o non vogliano intervenire, al fine superiore di salvaguardare la vita umana in mare, principio inderogabile di diritto cogente. I comandanti delle navi, qualunque sia la bandiera che battono, se informati della presenza di una imbarcazione in stato di pericolo (distress) che possono raggiungere mettendo in salvo vite umane sono tenuti a procedere alla massima velocità ( secondo le Convenzioni UNCLOS e SOLAS). Lo Stato richiesto di un porto di sbarco sicuro (POS) non può trasferire la responsabilità di indicare tale porto alle autorità di un paese ancora diviso come la Libia, che non garantisce i diritti umani o che, come Malta, non risponde generalmente alla richiesta di POS per naufraghi soccorsi al di fuori delle proprie acque territoriali. Non esiste una responsabilità primaria dello Stato di bandiera di fornire un Porto sicuro di sbarco, ed in questo senso è unanime la giurisprudenza italiana. Le Convenzioni internazionali, non certo la Conferenza di Valencia, che non può prevalere sulle Convenzioni internazionali ( UNCLOS, SOLAS e SAR), stabiliscono precisi oblighi di soccorso a carico degli Stati, vietano qualsiasi discriminazione tra le persone soccorse in mare, che sono naufraghi e non “clandestini” da trasportare da una costa all’altra, Si può dunque fissare il principio che, in assenza di prove di pericolosità evidente, lo sbarco dei naufraghi non implica alcun pericolo per la sicurezza nazionale.

I divieti che si annunciano sono forieri di denunce penali e di un ritorno alla stagione delle inchieste contro le ONG, “colluse” con i trafficanti, o quantomeno responsabili di avere “traghettato” migliaia di persone. Altre falsità che possono colpire come proiettili i soccorsi operati da navi civili, quando ormai gli sbarchi dalle navi umanitarie riguardano una minima parte dei soccorsi operati nel Mediterraneo centrale anche dai mezzi dello Stato, e sono molto meno numerosi degli “sbarchi in autonomia”, sempre più frequenti. Non sono certo le navi umanitarie ed i loro equipaggi, tanto meno gli aerei civili che avvistano imbarcazioni in difficoltà, responsabili di un “flusso straordinario di sbarchi”, tale da costituire un pericolo per la sicurezza nazionale.

In questo clima di falsificazione dei fatti e di larvate minacce di divieti amministrativi e di nuove denunce penali contro gli operatori umanitari, il 2 novembre si rinnovano tacitamente gli accordi con i libici, che minacciano di abbattere gli aerei e intercettare le navi delle ONG che vigilano sul Mediterraneo centrale, impegnandosi contro gli abbandoni in mare ed i sequestri in acque internazionali. I libici operano sempre più evidentemente su diretta commissione degli Stati europei e con il concorso attivo di Frontex e di altre agenzie di sicurezza europee. Tante ragioni in piu’ per denunciare il Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti del 2017 che la Meloni vuole inasprire con ulteriori aiuti alle milizie libiche colpevoli di crimini contro l’umanità. Il principale obiettivo è il blocco delle ONG anche attraverso attività di intelligence condivise con Frontex, come nel 2017, ai tempi di Minniti, non certo il blocco delle partenze che sono al contrario favorite dalla commistione tra bande criminali e agenti istituzionali.

Il Parlamento Ue ha rifiutato di approvare il bilancio 2020 di Frontex, per la mancata tutela dei diritti fondamentali delle persone migranti. Ma nel Mediterraneo centrale Frontex opera in stretto coordinamento con le autorità maltesi ed italiane. La collaborazione di queste autorità e di Frontex con i libici, che non rispettano i diritti umani e la vita dei migranti, e minacciano gli operatori umanitari, deve diventare oggetto di una indagine internazionale da trasmettere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per violazione sistematica del Regolamento n.656 del 2014 che antepone il dovere di soccorso e la salvaguardia della vita delle persone, alla difesa dei confini, agli accordi bilaterali ed alla lotta contro l’immigrazione “illegale”.

Ancora oggi le autorità italiane non rispondono alla richiesta di un POS (Place of safety) lanciata ieri dalle due navi delle ONG che attualmente si trovano nel Canale di Sicilia. Nessuno Stato, avvertito di un evento di soccorso di persone in situazione di pericolo in alto mare, può rifiutare il coordinamento delle prime fasi delle attività Sar,o attendere l’esito di trattative con altri stati, ad esempio con lo Stato di bandiera della nave soccorritrice, Appare quindi fuorviante ritenere che lo stato di “primo contatto” possa essere lo “stato di bandiera” della nave soccorritrice sulla quale sono saliti i naufraghi, e non invece la prima autorità statale informata dell’evento di soccorso e chiamata a predisporre anche al di fuori della propria zona SAR gli interventi necessari, nel tempo più rapido possibile, attivando tutte le forme di coordinamento interstatale e con le navi civili previste dalla Convenzione di Amburgo (SAR) del 1979.

Con i terribili venti di guerra che soffiano nel cuore dell’Europa si investono preziose risorse per aumentare la costruzione e l’uso di strumenti di morte militarizzando le frontiere e moltiplicando i crimini contro l’umanità in Libia e non solo. Le navi delle Ong sono l’ultimo baluardo d’umanità rimasto nel gigantesco cimitero che è diventato il Mediterraneo.

Attualmente vi sono in mare, in attesa di un porto sicuro: Ocean Viking con a bordo 234 migranti, Humanity con 180 e Geo Barents con 573= 987 vite da salvare SUBITO!

Siamo tutti complici con le navi umanitarie: Noi vi accusiamo!

PORTI APERTI ALL’ACCOGLIENZA

GIU’ LE MANI DALLE NAVI UMANITARIE!

29 ottobre 2022

ADIF, Carovane Migranti, LasciateCIEntrare, Rete Antirazzista Catanese, CLEDU