di Yasmine Accardo – Ancora una volta, con enormi difficoltà, dopo aver provato ripetutamente a chiedere autorizzazione ad accedere e dopo i certi dinieghi con la dicitura in grassetto: NO, NON SI RITIENE OPPORTUNO oppure un secco NO, senza motivazioni, entriamo nel CPR di Ponte Galeria, a Roma, grazie alla disponibilità della deputata Rossella Muroni. Alla porta entrare è semplicissimo: non dobbiamo nemmeno aspettare le telefonate alla Prefettura che durano ora prima degli accessi con i parlamentari. Passano appena 5 minuti e siamo dentro. Il CPR di Ponte Galeria è l’unico con area femminile in Italia e vi è un’area maschile “completamente rinnovata”. Restiamo all’interno circa 4 ore parlando con le donne detenute ed i vari soggetti responsabili all’interno. Il CPR è gestito dalla cooperativa Albatros. Il suo nome è “efficienza”! La parola mette i brividi addosso se si pensa che questo è un centro di detenzione su base etnica che da anni realtà di movimento diverse tra cui la nostra prova a far chiudere senza successo. Evidentemente “basta mettere i fiori alle finestre perché venga accettato un posto del genere”- direbbe Peppino Impastato. Già..  qui funziona tutto : il sostegno psicologico, l’assistenza legale, l’accesso delle associazioni ( noi ovviamente NO e ce ne facciamo un vanto) e di sant’Egidio. Tutto purché le squallide ore dentro il CPR e le pareti piene di scritte sembrino meno pesanti. Tutto purché questo posto risulti “Più umano”.  Più umano è la parola che mi rimbomba nella testa mentre ascoltiamo la voce monotono di una delle donne che entra in questo CPR ormai da oltre un anno passandoci tre o 4 mesi e poi uscendone di nuovo: manco fosse una casa di terapia psichica necessaria, una casa di cura. Molte delle donne presenti sono in Italia anche da 20 o 30 anni, con percorsi di violenza subita, grave sfruttamento lavorativo, sessuale,solitudine, malattia. Ci sono cinesi, russe, rom, nigeriane Donne che non sono riuscite a regolarizzare la propria posizione, donne abusate che non hanno ricevuto  altro che violenza  e poi buttate dentro un CPR. In seguito ai fatti del 2016, relativi alla deportazione di donne nigeriane, sbarcate da poco in Italia cui non venne concesso di chiedere asilo e vennero invece tradotte subito al CIE di Ponte Galeria in cui come Campagna alzammo un polverone e provammo a opporci in ogni modo riuscendo soltanto a garantire tutela per un piccolo nucleo di donne (barcamendandoci, una volta libere, anche per la ricerca di alloggi) e vedendo metterne 35 su di un aereo militare direzione “ricominciare la tratta”; ci viene raccontato che  adesso vi sono protocolli precisi con la Prefettura perché le donne trovino subito accoglienza ed alcune associazioni portano avanti percorsi già dall’interno del CPR. Volevamo e vogliamo chiudere i CIE e se la nostra azione ha portato a questo, abbiamo sbagliato tutto. Protocolli: l’inefficacia del Piano Nazionale anti-tratta e le difficoltà e  lungaggini dell’art.18 fanno si che la via della richiesta d’asilo sia quella “preferita” perchè più breve per ottenere un documento per cui ogni donna vittima di tratta chiede asilo, quando potrebbe e dovrebbe usufruire di tutele ben diverse. Questa trafila non fa che riporre nelle mani della criminalità le donne sfruttate, elemento che da sempre denunciamo presente nei centri dia accoglienza mal gestiti. Nel caso delle donne l’asilo rappresenta quindi uno dei tanti canali di facilitazione allo sfruttamento: documento facile a fronte di un disastro umano irrisolvibile e su cui nulla ha davvero mai fatto questo Paese. Rivedere il Piano nazionale Anti-tratta e facilitare percorsi di denuncia e di protezione sarebbe troppo difficile in un Paese in cui lo sfruttamento delle donne fa guadagnare molti e tutto sommato “va bene così” a molti maschi italiani. E noi dovremmo essere contenti di questi protocolli di “umanizzazione secondo l’ente gestore, dato il CPR il protocollo è l’unica strada possibile. Che disastro! Che spreco infinito di soldi pubblici! Che miopia crudele!  Donne tradotte nei CPR fortemente vulnerabili, deprivate di ogni barlume di reale tutela che  avrebbero bisogno di rimettersi al centro della propria vita e non di grigi protocolli!  Donne che avrebbero necessità di quella rete di donne che costruisca percorsi di lotta e non di accettazione a bocca aperta di protocolli istituzionali che colorano il nome di quello che per noi resterà sempre una prigione su base etnica, un morbo da estirpare, distruggere, cancellare per sempre. Tra loro vi è P. che ha un profondo disagio psichico ed un ritardo cognitivo tale da non esser riuscita mai a chiedere asilo o a nominare avvocato; che scappa via in camera quando le si avvicinano estranei e che a quanto ci dice la psicologa che la segue” per lei qui è il fuori dal dentro che l’ha resa così!”. Il CPR il fuori. Il CPR dovrebbe rappresentare il luogo in cui P. sta meglio “perchè nel vero fuori non c’è NULLA per lei, il CPR è il meglio cui possa accedere”. Eppure esiste un’art. il 417 del Codice di procedura civile che dispone la necessità di Tutor in questo tipo di casi.  Fuori potrebbero esistere percorsi e invece? Dentro il cpr è meglio che fuori. Sono parole pesanti, terribili, un luogo di detenzione diventa luogo di cura e tutela, o meglio viene vestito in tal modo approntando servizi e protocolli con associazioni di tutela dei diritti delle persone. Eppure non ho visto nessuna donna felice, perché appunto questo è un CARCERE su BASE ETNICA! A fianco l’area maschile che è pronta all’uso  ed in cui sono stati spesi centinaia di migliaia di euro ha le grate sempre più alte, stanze nuove, letti nuovi ed in solida pietra.  Bisogna alzare di molto il volto per non vedere le sbarre. “un’area ben fatta ed efficiente”: parole che sono uno squarcio nel petto: una prigione etnica d’oro. In queste ore tra l’altro riceviamo segnalazione di uomo in trattenimento al CPR di Ponte Galeria, quindi forse questa zona è effettivamente già attiva. I CPR per noi, per la nostra Campagna non saranno MAI accettabili o efficienti, continueranno ad essere lager da abbattere. Il CPR di Ponte Galeria con i suoi lustrini ci ha fatto ancora più rabbia e tristezza, perché è purtroppo ulteriore segno di questi tempi  bui dimenticare il senso della parola LIBERTA’ e quante cose si potrebbero fare chiudendo questi luoghi abominevoli e smettendola di gettare soldi in deportazioni ingiuste e violente ed usandoli migliorando invece i servizi alla persona, i servizi per tutti, quelli che a questo paese di gabbie ed in gabbia non interessano perché si vogliono persone malate e piegate, facili da corrompere, facili da umiliare e dimenticare cui offrire un fiore in una cella chiusa.