Omicidi e massacri contro la popolazione inerme. Quest’oggi e negli scorsi giorni la comunità sudanese si è mobilitata nelle piazze di Roma e di altre città italiane per chiedere di fermare la sanguinosa repressione in atto nel Paese africano in risposta alle manifestazioni del 3 giugno. Le milizie del Governo di Khartum hanno attaccato con estrema violenza i manifestanti causando più di cento morti tra la popolazione civile. Popolazione che “chiedeva pace e giustizia ed ha ricevuto pallottole” – come ha sottolineato nel suo intervento Ibrahim Tigany, portavoce della comunità. I sudanesi con una rivoluzione pacifica erano riusciti a far cadere la trentennale dittatura di Omar Al Bashir, illuminando di speranza intere generazioni di profughi in tutto il mondo. Chiedevano un governo civile, hanno ricevuto in risposta una sanguinosa repressione avvenuta nel silenzio della comunità internazionale e con la palese complicità di Arabia Saudita ed Egitto.
“Oggi vogliamo che sia aperta un’indagine immediata sul military council e le sue responsabilità nelle violazioni dei diritti umani in Sudan e che l’Europa dia voce a quanto sta accadendo” – così Adam Bosh ha urlato dalla piazza. Dal 3 giugno le comunicazioni in Sudan sono state bloccate, ciò che arriva sono poche immagini dei massacri e degli imprigionamenti. “Che si dia fine subito al massacro, che si rispetti la volontà di pace e giustizia di un popolo coraggioso che continua pacificamente in queste ore a chiedere libertà” ha concluso Ibrahim Tigany.
Le responsabilità europee su quanto sta accadendo sono enormi e dell’Italia in primis, che nel 2014 presentava il Migration compact: armi ai dittatori in cambio di accordi sulle deportazioni dei migranti ed esternalizzazione delle frontiere.