Una deriva annunciata. Potremmo dire: una logica conseguenze di un sistema di accoglienza viziato in partenza. Questo è stato il decreto Salvini per Daniele Todesco, coordinatore dell’Osservatorio Migranti Verona. “Il sistema era già predisposto all’arrivo di questo decreto. Una deriva annunciata perché l’accoglienza istituzionale era viziata da una serie di errori di base. Prendiamo le Prefetture, ad esempio. Diamo tutti per scontato che siano loro a governare la questione ma in realtà questo incarico gli è stato dato senza fornire loro competenze specifiche e personale preparato. Tutto questo ha condizionato pesantemente un sistema dove, per di più, non c’era un ente predisposto per il controllo. Se un operatore ravvisa qualcosa che non va o che non funziona su una struttura, a chi dovrebbe rivolgersi oggi? A quella stessa Prefettura che ha affidato l’incarico a quella struttura?”. Il sistema insomma, nasce viziato. Le Prefetture si sono trovate a gestire con la scusa di una “emergenza” che non c’era, un problema che avrebbe avuto bisogno di operatori qualificati. Questo le ha rese deboli e ricattabili. “Agli operatori capitò di parlare con funzionari della Prefettura e di sentirsi rispondere: ‘Se chiudo questa struttura non ho altri posti in cui mettere la gente’. In questo modo sono costretti ad accettare quasi tutto”. Non ci si rende abbastanza conto della gravità della situazione a livello istituzionale, sostiene Daniele. Le Prefetture hanno decisamente perso la loro funzione di terzietà. Molti bandi nel veronese sono andati deserti e la Prefettura è stata “costretta” a ricorrere agli albergatori ai quali venivano corrisposti 27,50 euro a migrante. Tolti i 2,50 euro per il pocket money giornaliero, alla cooperativa che gestiva i servizi rimanevano 5 euro. “Ditemi voi se con questi soldi era possibile garantire un processo di integrazione”. E questo è stato “creato” dalla gestione prefettizia, la quale è paradossalmente “dipendente” dai gestori. Si è creata una stretta cerchia di soggetti che solo tre o quattro anni fa non sapevano nemmeno cos’era un richiedente protezione internazionale ed ora hanno una sorta di oligopolio della gestione dell’accoglienza. L’arrivo del decreto Salvini si è innestato su questo sistema corrotto e ne ha costituito una sorta di completamento. Dal punto di vista dei richiedenti protezione internazionale, è stato un peggioramento sotto tutti i punti i vista.
“Se prima il modello indicato (anche se disapplicato) era quello degli Sprar ora è il nulla. L’obiettivo è scoraggiare in tutti i modi chiunque presenti una domanda di protezione internazionale, offrendogli solo quel minimo formale per evitare di subire le proteste internazionali. In realtà non stiamo più parlando di uomini e donne o ragazzi e ragazze con una loro storia, loro progetti da accogliere ma pacchi, semplicemente pacchi da collocare e che a piacimento e al bisogno possono essere spostati da una parte all’altra del territorio”. Anche in questi ultimi giorni, spiega Daniele, il vice-prefetto di Verona ha ribadito che “Non è compito nostro offrire integrazione” e ha giustificato così la riduzione drastica di servizi come trasporto, lingua, assistenza sanitaria, accompagnamento legale, al lavoro. “E’ in atto il compimento di un processo di disumanizzazione dell’accoglienza ridotta per lo più a contenitori del controllo in cui vige un sistema disciplinare che assegna ai responsabili dei centri poteri di vita e morte sugli ospitati. Processo di disumanizzazione che fagocita tutti richiedenti, operatori e funzionari della Prefettura. La retorica sulla ‘pacchia’ non ha colpito le cooperative o il business dell’accoglienza ma solo i migranti e gli operatori”. “In questi giorni – continua Daniele – abbiamo portato allo scoperto con un appello la vicenda emblematica del CAS di Vaccamozzi nel comune montano Erbezzo. Un centro completamente lontano dai centri abitati. Lo slogan che abbiamo scelto ‘Nell’isolamento non c’è accoglienza’ ci sembrava di effetto ma in realtà ha sbattuto contro il muro indifferente e cinico delle attuali disposizioni ministeriali, che ne fanno, proprio perché isolato, un luogo ideale”. Anche nel veronese, fin dal gennaio, molti migranti con la protezione umanitaria sono stai messi per strada. “Qualche attenzione c’è stata in riferimento a nuclei familiari con bambini ma ci è stato annunciato in questi giorni che ormai è giunta anche per loro l’ora di lasciare i Centri di accoglienza. Uno degli elementi che ci preoccupa è l’estendersi anche nel veronese dell’approccio ideologico, la semplificazione razzista che criminalizza il migrante, di cui la Lega fa la sua bandiera. Abbiamo avuto manifestazioni contro i migranti e anche attentati ai centri di accoglienza. Ma questi episodi non hanno indignato. Le amministrazioni comunali seguono gli umori di chi le vota e talvolta alimentano tale ostilità”. Qualche esempio positivo di resistenza anche nel Veneto, c’è, naturalmente. Su tutte il Comune di Padova che ha deciso di sfidare il decreto e di aprire l’anagrafe ai richiedenti. Altre piccole realtà si sforzano di continuare a garantire standard di accoglienza simili al modello Sprar, inventandosi altre modalità di finanziamento e integrazione con il territorio. Ma è una situazione minoritaria come ad esempio Il Samaritano (Caritas), che sta svolgendo un buon lavoro ma rimane comunque un lavoro di nicchia, (segue 120 ragazzi sugli oltre 1.700 ospitati nei Cas veronesi) un lavoro importante tenuto dalla stessa Chiesa veronese volutamente limitato. Pensiamo che su 380 parrocchie, solo 23 hanno aderito al progetto di accoglienza e per lo più queste hanno risposto immediatamente dopo l’appello lanciato da papa Francesco tre anni fa, nel settembre 2016.
“In questa mistura di istituzioni come Prefetture non più garante dei diritti, ostilità ideologica, indifferenza e bontà da nascondere, Salvini ci sguazza e l’umanità affonda – conclude Daniele -. Ma ricordiamoci che quando questo è ‘giustificato’, supportato, incentivato da una legge, ‘l’obbedienza non è più una virtù’”.