Il sistema di accoglienza italiano ci ha abituati ad osservare e rilevare le conseguenze dei famigerati affidi diretti da parte della Prefettura a privati o cooperative, spesso senza alcuna esperienza in merito all’accoglienza e alla tutela di richiedenti asilo e rifugiati. Quel che conta è avere a disposizione una struttura atta a “parcheggiare” le persone a tempo indeterminato senza che reali percorsi di inserimento siano avviati. Capita così, che associazioni o cooperative che fino a qualche mese prima si occupavano di tutt’altro, o che addirittura sono state create proprio per lo scopo, si ritrovino a gestire l’accoglienza di persone in fuga dalla miseria, dalle persecuzioni e dai tanti conflitti che insanguinano interi paesi del sud del mondo. Paesi depredati dalle multinazionali del mondo occidentale o devastati dagli ordigni portatori di “democrazia e libertà”. Persone scampate alla guerra, alla tortura, alla traversata del mediterraneo le cui esistenze sono lastricate di lutti e di traumi, persone lasciate a se stesse in una sorta di limbo all’interno dei C.A.R.A., dei C.A.S., dei C.I.E., degli Hotspot. Svariate sigle, una condizione unica e costante: l’abbandono! Utili a coloro i quali lucrano sui prigionieri della non-accoglienza. Una sospensione temporale che reitera i traumi subiti durante il percorso migratorio alimentando e aggravando, di fatto, la vulnerabilità delle persone.
Il Cas di Roggiano Gravina gestito dall’Associazione San Biagio onlus (dall’elenco pubblicato dalla Prefettura e aggiornato al 10/05/2017), risulta attivo dal 2016 con convenzione stipulata giorno 01/12/2016 con decorrenza dal 19/11/2016. Nello stesso elenco è riportato il Cas di Altomonte con una presenza di 19 persone e il Cas di Cosenza con una presenza di 8 persone, per tutti e due i Cas è riportata un’istruttoria in corso.
La Prefettura di Cosenza ha pubblicato una Manifestazione di interesse, con scadenza 22 maggio 2017, per l’individuazione di operatori economici ai quali affidare il servizio di “Prima accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale e la gestione dei servizi connessi” per il corrente anno ai sensi del d.lgs 50/2016 articolo 63 comma 2 punto C.
Con verbale del 15 giugno 2017 è stata approvata la graduatoria finale nella quale si legge che l’Associazione San Biagio onlus non è ammessa per la mancanza di comprovata esperienza. La stessa aveva dato disponibilità all’apertura di nuovi Cas nella città di Cosenza e Altomonte, Cas comunque già attivi senza convenzione.
Lo scorso 29 aprile decidiamo di effettuare una prima visita all’interno del Centro in questione. Appena arrivati troviamo i richiedenti asilo seduti su una panchina di fronte alla struttura. Prima di interloquire con i gestori, ci fermiamo a parlare con loro. Il Centro, attualmente concentrato in 7 appartamenti ricavati in un ex scuola del paese (dall’aprile 2017), è stato originariamente aperto all’interno di una struttura priva di riscaldamenti, nella quale è rimasto ubicato per tutto l’inverno scorso. Ogni appartamento è servito da due servizi igienici. Al momento della nostra visita le persone ospitate all’interno della struttura sono circa 60.
Gli ospiti non sono a conoscenza della propria situazione giuridica rispetto alla richiesta di protezione internazionale. Alcuni affermano di aver fatto richiesta al momento dello sbarco a Pozzallo o Lampedusa, ma non sanno a che punto sia l’iter di riconoscimento del proprio status. Alcuni sono arrivati nel CAS da circa sei mesi altri da 3 – 5 mesi, ci riferiscono. Chi è arrivato da meno tempo non ha ancora redatto il modello C3. Nessuno è andato in Commissione pur essendo presenti persone che arrivate 6 mesi addietro. Dichiarano di non essere in possesso della tessera sanitaria e che per qualsiasi tipo di malessere viene somministrato loro lo stesso medicinale. Il cibo, ci riferiscono sia i migranti che, successivamente, gli operatori, viene portato dall’esterno da un ditta di catering, ma i migranti affermano che è insufficiente e di bassa qualità. I pocket money vengono erogati mensilmente e ammontano a 75 euro. Lamentano di non avere ricambi di vestiario e di utilizzare da mesi sempre gli stessi abiti, impossibilitati a lavarli, di conseguenza. Stesso dicasi per le uniche e sole lenzuola a loro disposizione. Ogni qualvolta provano a lamentarsi o a protestare per qualcuno dei disservizi di cui sopra, riferiscono, vengono chiamati i carabinieri.
Mentre parliamo con i richiedenti asilo arriva, dall’altra parte della strada, un operatore che ci chiede chi siamo e cosa vogliamo dai ragazzi. Ci presentiamo e chiediamo informazioni sulla gestione del CAS. A seguire, arriva una persona che si presenta come il responsabile della struttura e tre operatori. Il responsabile inizia a rispondere in maniera approssimativa alle nostre domande rispetto all’erogazione dei servizi di accoglienza (riconoscimento status giuridico, corsi di lingua italiana…). Inizialmente afferma che gli ospiti del centro hanno presentato tutti il modello C3, poi afferma il contrario, dichiara che quotidianamente viene tenuto il corso di lingua italiana e che i ragazzi frequentano corsi professionali presso un’altra associazione del paese. Appare disorientato quando gli indichiamo la differenza tra il possesso del codice STP e l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale. Ci comunica che all’interno della struttura è presente il mediatore culturale di lingua inglese, nonostante quasi tutti gli ospiti siano francofoni!
Alla domanda riferita alla mission dell’associazione prima della gestione del CAS, risponde uno degli operatori in maniera infastidita “mi para ca stati faciannu troppi domandi” (mi sembra che stiate facendo troppe domande), mentre alla nostra richiesta di visitare il centro afferma che “mancu curi carr’armati potiti trasiri” (neanche con i carri armati potete entrare).
Poi gli operatori, eccetto uno che sembrerebbe sia rimasto a controllare che i ragazzi non ci dicessero qualcosa di compromettente, si congedano.
Salutiamo i ragazzi e andiamo via con una brutta sensazione addosso, riflettendo sul continuo reiterare di un atteggiamento di chiusura verso una società civile che vuole conoscere…come se la gestione dell’accoglienza fosse privata e i migranti proprietà dei gestori. Una proprietà remunerativa che ormai è diventata un investimento a lunga durata e, purtroppo, un disinvestimento per quanto concerne la tutela dei diritti.
Qualche giorno dopo la nostra visita, un sopralluogo congiunto da parte di Prefettura, Comune, ASP, Vigili del Fuoco, rileva una serie di prescrizioni in merito alla carenza degli spazi comuni, dei servizi e degli arredi. Iniziano, dunque, i lavori per adeguare la struttura ma non variano le modalità di gestione e di approccio relazionale nei confronti delle persone ospiti.
Ritorniamo a Roggiano ancora altre due volte. Incontriamo gli ospiti del centro e intervistiamo alcuni abitanti del luogo che nel tempo sono entrati in contatto, a vario titolo, con il gestore e l’organizzazione interna del centro. Tutte le persone con cui abbiamo parlato hanno confermato i maltrattamenti e i disservizi subìti dai migranti così come la volontà da parte del gestore di allontanare chiunque non si allinei alle sue posizioni e/o inizi a fare troppe domande e a pretendere servizi e trattamenti dignitosi. Pare che i ragazzi abbiano effettuato solo 4 lezioni di alfabetizzazione e che non sia stata organizzata nessun’altra attività all’interno del centro, secondo quanto riferitoci dagli stessi. Le relazioni tra gestore e migranti sono costituite da continue aggressioni e violenze verbali da parte del primo, ci raccontano.
In molte occasioni i ragazzi sono stati costretti a protestare contro i trattamenti subìti all’interno del centro.
Così come nel corso della protesta del 5 luglio scorso. Anche in quel caso, come in tutti gli altri, il gestore e alcuni operatori hanno cercato di far rientrare la protesta con atteggiamenti minacciosi e prepotenti, secondo quanto riferito dai migranti. Puntualmente, agli ospiti che hanno continuato a protestare rifiutandosi di firmare l’elenco delle presenze, non sono stati somministrati due pasti consecutivi.
Lo stesso hanno affermato gli ospiti di un altro CAS gestito dalla stessa cooperativa, nel territorio comunale di Altomonte, a pochi chilometri di distanza da Roggiano Gravina. Durante la protesta da loro effettuata il 23 ottobre scorso, infatti, sono arrivati a piedi da Altomonte a Roggiano e hanno protestato per l’assenza di acqua calda, lenzuola e coperte, oltreché per la mancata erogazione del pocket money da più di due mesi.
L’ultimo sopralluogo effettuato qualche settimana fa dagli enti preposti nella struttura di Roggiano, inoltre, ha evidenziato il permanere di alcuni disservizi, tra cui la mancanza di acqua calda e riscaldamenti in alcuni locali, a cui i gestori avrebbero dovuto sopperire entro 15 giorni. Allo scadere di tale periodo di tempo gli stessi enti avrebbero effettuato un ulteriore sopralluogo per verificare l’avvenuto adeguamento. Ad oggi, quest’ultimo ulteriore sopralluogo non è stato ancora effettuato.
Ad ogni modo, pare che, in seguito alle continue pressioni ricevute da più parti, il gestore, Biagio Germano, abbia deciso di effettuare degli adeguamenti strutturali all’interno del centro, oltre ché aumentare le ore di alfabetizzazione e rendere costanti le relative lezioni.
Ma ancora oggi gli ospiti della struttura non ricevono rispettivamente il pocket-money; l’acqua calda, così come i riscaldamenti, non vengono erogati, o vengono erogati a singhiozzo.
Una situazione, quella descritta, ripetutamente registrata durante le nostre visite. Nei tanti centri di “malaccoglienza ordinaria” che si stanno moltiplicando sul nostro territorio non importa la qualità del servizio offerto, non importa la professionalità, la sensibilità e la capacità relazionale degli operatori, non importa il valore infinito di una vita umana. Ciò che importa è il tornaconto economico che la sola presenza di quella singola vita riesce a produrre; ciò che importa è riuscire ad utilizzare, manovrare, minacciare quelle stesse vite. Ciò che importa è, soprattutto, che tutto questo non esca fuori dai luoghi in cui ogni presenza “non allineata” è assolutamente bandita. Un copione già letto altrove!
Si ringrazia la delegazione costituita da: Luana Ammendola (attivista), Emilia Corea (Associazione La Kasbah), Luca Mannarino (attivista)