E se la Vergogna non arrossisce più un motivo pure dovremo trovarlo. Dunque: c’è un uomo e c’è uno spazio dedicato ai nostri rifiuti. Prima riflessione: noi occidentali ci autodefiniamo “civili” anche perché dedichiamo spazi specifici ai nostri residui non consumati. Siamo così civili che i rifiuti li sappiamo selezionare, suddividere, depositare opportunamente, riciclare, farli rivivere. Seconda riflessione: la stessa attenzione “civile” vacilla quando incontriamo gli ultimi (e, spesso, ormai, anche i penultimi e persino i terzultimi). Qui le sorti progressive si confondono, la via (al singolare) si muta in vie, sempre più anguste, sempre più accidentate, sempre più buie. Quell’uomo stava dentro un cassonnetto della spazzatura. Ci sono state città civilissime nella civilissima Italia che hanno impedito nei mesi scorsi con ordinanze grondanti altisonanti cipigli l’uso diurno e notturno delle panchine ad alcuni, precisi esseri umani. Allora sembrò un atto un po’ troppo folckoristico ma nessuno andò con la fierezza della propria dignità sotto i balconi dell’Infamia a strapparle il velo con cui cela il suo miserabile volto. Oggi quella stessa Infamia presenta il conto utilizzando il Caso come deus ex machina: ognuno di noi è parte attiva di quella munnezza su cui ha posato il corpo quell’uomo. Ognuno di noi è un rigo nero di quella Ordinanza, di quell’alzata di spalle, di quel pulviscolo nell’occhio che ci ha impedito di vedere. E stamattina all’alba è finito in un compattatore. In un film di Pier Paolo Pasolini un gruppo di burattini, ormai danneggiati irrimediabilmente, vengono portati in una discarica e lì gettati. Al termine della caduta due di loro scoprono il cielo e nelle sue nuvole la Bellezza. Noi, al contrario, immersi come siamo nella melassa dello spettacolo dell’esistere come un algoritmo che meccanicamente si autoreplica, la bellezza (con l’iniziale minuscola), a furia di scalfirla, levigarla, rasparla, l’abbiamo resa eterea, insulsa, banale, consunta. I corpi degli esseri umani feriti, offesi, vilipesi non ci offendono più, sono relegati in certi scantinati, in certi tuguri remoti ai nostri sensi. Un netturbino, sentendo la voce del Dolore, l’ha salvato  Ora, se un uomo salva un uomo salva sé stesso. Questo si sa. E se molti uomini diventassero Ponti, dalla sponda del fiume l’altra riva non sarebbe più un tremore della di speranza. Ecco. Questo ci resta: mani che hanno l’obbligo di perpetuare un patto antico sigillato da un sangue guerriero: patria mia è il mondo intero e nessuno, se qualcuno resta indietro, può dirsi vivo. Fulvio Battista