Di Yasmine Accardo – “Mi è sempre piaciuta l’Italia. Sono venuto qui nel 2012 perché ero un appassionato di Leonardo Da Vinci, Michelangelo e la Bellucci. Sono laureato in informatica nel mio paese e parlo 4 lingue. Ho due figli italiani ed una compagna italiana, ma questa è la terza volta che mi mettono in un CPR”. R. è al CPR di Caltanissetta di nuovo, dopo esserci stato solo pochi mesi fa, in estate quando “in tre mesi hanno rimpatriato almeno 900 tunisini solo da qua”. “Ho scelto l’Italia ma adesso anche io vorrei andare via: in Belgio, in Francia dove forse trattano meglio le persone. Non so perché si accaniscano tanto contro noi tunisini. Molte delle persone che arrivano hanno speso fino a 10.000 dinari per venire, vendendo tutto per il sogno di una vita diversa. Arrivano e finiscono in questa trappola per topi, in queste gabbie alte 10 metri”. Ieri altri due cittadini tunisini, dopo un periodo su nave quarantena e pur avendo fatto richiesta di voler manifestare la volontà di chiedere protezione Internazionale in Italia, si trovano al CPR, è previsto dalla normativa ma si chiedono perché, visto che altri nelle loro stesse condizioni, che avevano posto la loro stessa domanda ora sono in accoglienza. “Lo sappiamo che lo fanno a casaccio. Lo so bene anche io”, dice R. “In questo paese avevo creato anche un’associazione per la difesa dei diritti delle persone, ora non esiste  più perché, per questioni di lavoro, tanti si sono spostati altrove, ma io ancora mi batto. La lotta non finisce”. Solo nel 2021 sono stati rimpatriati circa 2.000 tunisini, un sistema potenziatosi  dopo gli accordi tra Italia e Tunisia. “Li andavano a prendere fin nei luoghi di lavoro, così come li trovavano vestiti”, prosegue al telefono. “Perché? Perché lavoravano a nero, ma non stavano facendo nient’altro che vivere una vita dignitosa di lavoro. Perché non vanno a prendere i criminali veri? In Italia tutti pensano che i tunisini sono tutti delinquenti. Tutti spacciatori, ma non è giusto e non c’è niente di più falso”. “Molti tunisini che arrivano qui, dopo questo trattamento e la paura continua di venir incarcerati in un CPR (un lager, una gabbia) non vogliono poi più restare in Italia e se ne vanno subito. Perché non possiamo vivere una vita tranquilla lavorando ed amando le cose belle di questo paese?”. Il CPR di Caltanissetta è stato teatro di decine di rivolte in questi anni, rivolte per l’ingiusto trattenimento. Il centro detentivo si è sempre caratterizzato per una situazione igienico sanitaria e dei servizi pessima: bagni intasati, fognature non funzionanti, freddo e mancanza di riscaldamento per il quale è stato, ahinoi, ristrutturato anziché chiuso definitivamente. “Una trappola per topi” ripete R. che ha perso totalmente la fiducia in questo Paese. “Qui non ti fidi di nessuno. Qualche giorno fa è venuto il vice Console a sentire i tunisini reclusi. Ho pensato che fosse qui per i nostri diritti, per tutelarci ed aiutarci, ma poi ho pensato che è tutto un gioco: non ci credi più in queste cose, sai solo che devi andare avanti a lottare per tutti e tutti insieme. Qui dentro con la gabbia alta 10 metri anche io come tanti e nonostante abbia i miei figli italiani in Italia e stia qui da 10 anni e mezzo, vorrei andarmene perché ci sono sempre e continui ostacoli che devi scavalcare ed affrontare ma sono ostacoli che soprattutto verso “noi altri” non finiscono mai. Non è giusto”. R., che parla un italiano perfetto, conclude dicendomi che qui ha imparato il mestiere di cuoco e che gli piacerebbe continuare a farlo, e che non può che combattere contro tutte le ingiustizie perpetrate ai danni degli uomini e le donne “col suo stesso sangue”. Ascoltando, raccontando e sostenendo i suoi fratelli.