Arrivati il 19 settembre a Lampedusa, i cittadini tunisini dopo circa 3 giorni sono stati trasferiti in quarantena in un Cas a Valderice a Trapani, chiamato “Villa Sant’Andrea”. Fin dallo sbarco non hanno ricevuto alcuna adeguata informativa. Sono stati letteralmente sbattuti in questo centro e obbligati, per l’emergenza sanitaria Covid-19, a restare in quarantena. Nessuna figura di mediazione, nessuna attenzione per far sì che questo periodo di isolamento, reso necessario di questi tempi, potesse esser compreso come qualcosa a tutela della propria e altrui salute. Alcuni fuggono dal centro ed immediatamente si scatena la protesta dei vicini che chiedono maggiori protezioni, con in prima linea il sindaco di Valderice che pretende maggiori controlli. Verranno quindi costruite sbarre e potenziata la sorveglianza. La popolazione ha paura ed un “CAS quarantena” non è gradito. Nessun tentativo di portare anche solo un messaggio di vicinanza positiva, di benvenuto. Insulti e rabbia accolgono le persone che arrivano. Ben inteso di questi tempi ognuno di noi (lo sa bene chi è stato o sta in quarantena) viene evitato e guardato come un untore, con pochissimi che si preoccupano della solitudine di chi si trova “internato” o di portare un minimo di conforto anche da lontano. La paura è fuori verso chi è imprigionato, e dentro chi è isolato non trova niente di buono, solo polizia, rabbia, insulti in stanze approntate alla bell’e meglio con materassi di gommapiuma per terra e le solite porzioni di cibo freddo ed immangiabile. La parola “accoglienza” è qualcosa di profondamente lontano e questo gruppo di tunisini è più “fortunato di altri” perché se non altro non sono costretti a rimanere nelle navi quarantena anche per oltre un mese. Il centro che li ospita in questa detenzione strutturata per la quarantena, e che in realtà diventa pre-rimpatrio, è gestito da Badia Grande, perché i re del business dell’accoglienza ovviamente ne hanno approfittato subito anche in questa situazione: tanto i servizi sono ridotti all’osso. Non ci sono nemmeno le coperte. Stanze e materassi buttati a terra. “Minimal reception” mentre c’è sempre un grande guadagno e intanto i diritti sono al ribasso, se non proprio in estinzione. Un lavoro facile facile: quarantena e via. Quarantena e via. Perché qui non ci sono persone. Sole ombre di cui non resteranno nemmeno i resti. Ci rimangono le storie come quella di G. che deve essere raccontata perché si sappia ciò che accade. Il 24 settembre la polizia entra nelle stanze per prendere un gruppo di uomini per portarli in un altro centro, scopriremmo poi che si tratta del Cpr di via Corelli a Milano. G. è disperato, non vuole essere rimpatriato e si butta dal secondo piano. Cade e si rompe entrambe le gambe. Viene condotto al pronto soccorso di Trapani dove farà l’intervento il 7 ottobre. Due giorni dopo è già di nuovo sul materasso di gommapiuma buttato a terra nel centro di Badia Grande. Ha dolore alle gambe e non sa a chi chiedere aiuto. Nei giorni di ospedalizzazione aveva detto “non voglio tornare in quel posto orribile! Fatemi restare in ospedale finchè non mi sento bene. Per camminare mi servono le stampelle, ma ora ho troppo dolore”. Eppure il medico del reparto in cui G. è rimasto per due settimane ha ritenuto di dimetterlo solo due giorni dopo l’intervento. G. è ancora in attesa di poter essere riconosciuto come persona. Persona. Non come richiedente protezione che è un salto troppo lungo, quando nemmeno le basi del diritto esistono più. Vorrebbe capire se ci sono diritti dove è arrivato, vorrebbe sapere quali sono le procedure e perché fin dall’inizio è stato trattato come un vestito vuoto. Vuole capire perché qui ha trovato solo restrizioni e dolore. Il 9 ottobre hanno rimpatriato 80 tunisini in un giorno. Quali sono gli accordi criminali stipulati tra Tunisia ed Italia? Cos’è questa orribile macchina aspira e sputa uomini? E noi stiamo a guardare?