Vakhtang Enukidze, georgiano, nato il 26 settembre 1982, trattenuto nel CPR Gradisca D’Isonzo, muore il 18.01.2020 nell’Ospedale di Gorizia, aveva 37 anni. 
di Francesca Mazzuzi – Vakhtang Enukidze era arrivato in Italia due anni prima, aveva vissuto a Roma, ma non avendo il permesso di soggiorno, una volta fermato dalla polizia venne portato nel CPR di Bari Palese. Il centro pugliese era stato reso inagibile da una delle tante proteste che in quel periodo si susseguirono contro le condizioni ignobili e di privazione della libertà a cui sono sottoposti i cittadini stranieri senza documenti e richiedenti asilo nei CPR. Vakhtang, insieme ad altri, fu quindi trasferito da Bari al CPR di Gradisca, il 19 dicembre 2019, dove morì un mese dopo. Il Centro di Gradisca aveva riaperto il 16 dicembre dopo sei anni di chiusura. Inizialmente circolarono differenti versioni sui fatti che avevano portato alla sua morte.  Da quanto ricostruito, pare che il 14 gennaio Vakthang, non trovando il suo telefonino, sarebbe stato coinvolto in un litigio con un cittadino egiziano nel cortile interno della zona verde del CPR. La lite fu repressa violentemente da circa dieci agenti. I testimoni raccontarono di un vero e proprio pestaggio avvenuto a più riprese da parte delle forze di sicurezza perché Vakhtang non voleva tornare nella sua cella, voleva trovare il suo telefono. È stato anche riferito da testimoni che avesse accettato di essere rimpatriato, ma che fu riportato indietro per via delle sue condizioni fisiche. Alcuni suoi compagni reclusi avevano dichiarato agli attivisti di temere per la loro incolumità, per il clima oppressivo che vigeva dentro il CPR. Dopo il pestaggio, Vakhtang avrebbe subito lesioni che richiesero una visita in ospedale, ma una volta dimesso venne arrestato per resistenza a pubblico ufficiale e portato nel carcere di Gorizia, dove fu sottoposto a processo per direttissima e in cui rimase qualche giorno prima di essere riportato nel CPR. Il 16 gennaio, al suo rientro nella struttura era apparso in pessime condizioni e incapace di stare in piedi.  Gli vennero dati antidolorifici e ansiolitici sia in carcere che nel CPR e la sera prima della sua morte pare gli fosse stata aumentata la dose di farmaci, così ha raccontato la sorella dopo avere parlato con lui quella stessa sera. Nella notte tra venerdì e sabato la sua condizione di salute peggiorò. Chiese un intervento medico, ma continuò ad aggravarsi fino a non riuscire più a parlare. La mattina fu trovato in stato di incoscienza dentro la sua cella. Aveva subìto un arresto cardiocircolatorio ed era entrato in coma. Fu portato in ambulanza in ospedale, dove morì alle 15 del 18 gennaio 2020. I compagni reclusi di Vakhtang scoprirono della sua morte ascoltando una conversazione all’interno del CPR e avvisarono la moglie che cercò di avere conferme dal centro, ma nessuno rispose alle sue chiamate. Il giorno successivo, il 19 gennaio, si svolse una manifestazione promossa dalla Assemblea No cpr e No frontiere FVG, accompagnata da una protesta interna dei migranti poi repressa dalle forze di sicurezza. La Procura di Gorizia aprì un fascicolo per omicidio volontario contro ignoti. Le indagini furono compromesse a causa del trasferimento e rimpatrio forzato di diversi testimoni, anche quelli con cui aveva parlato il deputato Riccardo Magi, nel corso di una visita ispettiva nel centro dopo la morte di Vakhtang, testimonianze riportate anche alla Procura. Tre cittadini egiziani furono rimpatriati senza la possibilità di nominare un difensore di fiducia, testimoni che avevano assistito alle fasi che avevano portato al decesso di Vakhtang, uno dei quali sarebbe la persona coinvolta nello scontro fisico con il cittadino georgiano, addirittura rimpatriato con un trauma cranico.  I cittadini stranieri nella “zona verde” dove si trovava anche Vakhtang furono trasferiti nella cosiddetta “zona rossa” e i loro telefoni sequestrati, senza apparente motivo, impedendo la tempestiva comunicazione con l’esterno e in particolare con la rete legale che si era messa a disposizione per fornire assistenza. Già allora, insieme a Melting Pot Europa, avevamo esposto le nostre perplessità sulle frettolose operazioni di rimpatrio che avevano impedito di raccogliere importanti dettagli sulla dinamica dei fatti. Teniamo a sottolineare che insieme agli attivisti di MeltingPot Europa fin da subito provammo a mettere insieme il team legale che potesse occuparsi del caso. In particolare l’avvocata Arena, legale di fiducia di Vakhtang, l’avvocato Guadagnini referente in loco e l’avvocato Vitale. Grazie alla rete dei georgiani riuscimmo a parlare con la famiglia, fortemente provata da quanto accaduto e desiderosa di comprendere cosa fosse successo, poiché avevano ricevuto notizia della violenza subita dalla polizia. Demmo loro promessa di supporto per far venir fuori la verità dei fatti, insieme ai legali. La possibilità di un avvocato indipendente di fiducia della famiglia sarebbe stata fondamentale. Non andò come avremmo tutti sperato.  Crediamo che l’Ambasciata italiana in Georgia abbia esercitato forti pressioni sui familiari per farsi assistere da un legale fornito dalla stessa autorità italiana e che il governo georgiano non abbia voluto esercitare le doverose pressioni sullo Stato italiano per conoscere la verità, per non “urtare” le relazioni diplomatiche allora in corso con l’Italia. La famiglia di Vakhtang non nominò quindi avvocati che avrebbero potuto e voluto lottare per accertare davvero le responsabilità della polizia.  Chiedemmo comunque al Garante dei detenuti di seguire attentamente ogni dettaglio con un suo avvocato perché non vi fossero interferenze e mutilazioni sui fatti accaduti che secondo le testimonianze raccolte vedevano un ensamble tra violenza di polizia e omissione di soccorso da parte degli operatori del CPR che non poteva in alcun modo venir taciuto e dimenticato. Secondo l’autopsia, condotta alla presenza del medico legale perito di parte del Garante nazionale dei detenuti, Vakhtang sarebbe morto per un edema polmonare, escludendo che il pestaggio potesse avere causato la morte. Non abbiamo mai conosciuto gli esiti degli ulteriori esami tossicologici e istologici. Ancora oggi nessuno di noi crede nella morte naturale di Vakhtang, che venne, ripetiamo, violentemente malmenato nel CPR. Un altro morto di Stato. Un altro crimine che mostra tutta la ferocia di questi luoghi orribili che di naturale non hanno nulla. Noi non dimentichiamo.