Roma, Gennaio 2016
Il contesto in cui è nata la Campagna LasciateCIEntrare è notevolmente cambiato, anche grazie ai risultati finora ottenuti. Le considerazioni circa le strutture adibite alla detenzione amministrativa come i centri di identificazione ed espulsione, che non garantiscono l’esigibilità dei diritti umani per la popolazione migrante, che sono costose ed inefficaci, ed il dibattito che abbiamo animato verso questi temi, hanno contribuito alla chiusura di gran parte dei centri di detenzione amministrativa operanti in Italia. 
 
Nel frattempo gli scenari dellimmigrazione sono non solo cambiati ma evolvono in una condizione di incertezza dovuta tanto alle dinamiche politiche nazionali ed europee quanto alle vicende di carattere globale. Si sta assistendo alla trasformazione della prima accoglienza in detenzione e si sono creati o si stanno aprendo i nuovi Hot Spots, centri di contenimento e di selezione dei migranti appena arrivati in Italia, luoghi privi di uno status giuridico certo, nei quali si realizzano forme diverse di limitazione della libertà personale, che saranno enfatizzate dalla decisione imminente e largamente condivisa di raccogliere con la forza le impronte digitali. 
Lo scenario che si va delineando dopo la definizione dell’Agenda Immigrazione” proposta dal Commissario Europeo Dimitris Avramopoulos o l’“agenda Junker” presentata a settembre 2015, è quanto mai inquietante e lascia presupporre che il tema del trattenimento di migranti considerati irregolari andrà ad incrociarsi sempre più con le questioni connesse all’accoglienza ai richiedenti asilo e più in generale ai profughi portando i paesi membri verso una procedura forzata di identificazione alle frontiere, o nei paesi di primo accesso, che avrà come conseguenze da una parte nuovi centri di “accoglienza” e dall’altra Hub e Hot Spot di incerta natura giuridica ed un aumento indistinto di rimpatri immediati, espulsioni verso paesi terzi o respingimenti, illegittimi e senza controllo. Nei fatti una divisione da sempre affidata alla discrezionalità, quella fra migrante economico, ambientale e richiedente asilo, è divenuta ancora più marcata, garantendo possibilità di accesso a forme di protezione solo a coloro che provengono da paesi i cui profughi sono almeno nel 75% dei casi considerati aventi diritto. Significa che gran parte dei paesi, tutt’ora in guerra o in situazione politica, economica o ambientale critica, saranno considerati paesi sicuri in cui poter rimpatriare con la forza i richiedenti protezione. Sono gli stessi documenti redatti dal governo italiano e frutto di quelli, in parte in fase di elaborazione negli organismi europei, (Consiglio e Commissione) a definire i margini per cui, in particolare nell’Europa Meridionale, verranno impiegate maggiori risorse per i rimpatri soprattutto forzati e solo in parte volontari, a scapito delle scelte di accoglienza che saranno sempre più ristrette.
 
Nel frattempo, in troppi Paesi aumentano le barriere ed i nuovi spazi di confinamento o verso l’esterno (Bulgaria e Grecia verso la Turchia, Ungheria verso la Serbia) o verso l’esterno (Francia verso Gran Bretagna) in un sistema in continua ed imprevedibile evoluzione ed impunità. Si chiudono le frontiere esterne ai profughi, anche con Guardie di Frontiera, Frontex, e si sottopongono a rigido controllo quelle interne nonostante l’art. 7 del trattato abbia definito la libera circolazione in Area Schengen. E se non si tratta di strutture di trattenimento finalizzate soltanto alla prima identificazione, i dispositividi controllo, soprattutto interni, fra Francia, Italia, Austria e Germania, sono intensificati sia in pianta stabile sia, in maniera più ampia attraverso operazioni europee di identificazione generalizzata, anche se realizzate per periodi circoscritti. Cruciale in questa fase il ruolo dell’agenzia europea EASO, Agenzia dell’Unione europea che dovrebbe supportare i paesi in difficoltà per un numero elevato di richieste di asilo, ma che nella pratica, in stretta collaborazione con Frontex, reitera la suddivisione dei migranti secondo i (fallaci) criteri già ricordati, e rende impossibile l’accesso alla procedura internazionale ad un numero elevato di persone, portatrici di problematiche che andrebbero accolte attraverso interviste realizzate nel rispetto dei diritti umani, in maniera consapevole dei contesti internazionali e competenti delle criticità che affliggono coloro che affrontano viaggi pericolosissimi per sfuggirne. In una sorta di criminale “fai da te” della smania xenofoba, addirittura i confini e i treni transfrontalieri sono diventati luoghi di identificazione e di sostanziale diniego, Si conoscono casi di procedure sommarie messe in atto, in questo senso, dalla Polizia Ferroviaria, sia a Ventimiglia che sulle rotte Italia –  Svizzera.
Il rischio di un ampliamento degli scenari di guerra, dalla Siria alla Libia al vicino oriente ai paesi Sub Sahariani, potrebbe produrre ancora accelerazioni e ulteriori cambiamenti dell’assetto geopoliticoLe proposte di definire un’esternalizzazione dei confini ancora più lontana dalle frontiere europee e le manifeste intenzioni di aprire canali di relazione privilegiate con alcune dittature come quella eritrea, da cui fuggono molti profughi, gli stessi Processi di Khartoum e di Rabat, vanno visti, insieme alla minacciata “guerra ai barconi” in Libia, come un tentativo, destinato all’insuccesso, di ridurre l’arrivo di persone in Europa. L’oggettivo fallimento del vertice de La Valletta di novembre, dove di fronte alle scarse risorse messe a disposizione dall’UE i Paesi africani si sono dichiarati impossibilitati a fermare i profughi in fuga, è un ulteriore segnale di tale percorso.
L’attività dei trafficanti via mare o dei passeur via terra non è certo diminuita, ha solo preso forme diverse. Il risultato prodotto dall’inasprimento dei controlli e dalle politiche di esternalizzazione è l’aumento dei morti in mare (che va aumentando nell’Egeo) o nel deserto, ampliando ancora, se è possibile, il bilancio di una guerra silenziosa ma mai interrotta. 
Il tema dell’aumento dei rimpatri, dei maggiori investimenti di risorse verso il “contrasto all’immigrazione illegale”, le ipotesi che vanno prendendo piede, basate sul fatto che poi spetterà ad ogni singolo Paese UE decidere come “applicare” l’Agenda, non solo costringeranno chi si muove su questi temi a dover continuamente rivedere le proprie pratiche e azioni, ma a definire un proprio spettro di intervento molto più ampio, che tenga conto degli indirizzi di politica migratoria impartiti dagli organi di governo dell’Unione Europea in assenza di una base legale certa e condivisa. In questo quadro appare inquietante il silenzio delle grandi organizzazioni internazionali, convenzionate in passato con il ministero dell’interno nell’ambito del progetto Praesidium.
Il clima di paura diffusa generato dai recenti attentati terroristici è senza dubbio un elemento di ulteriore incertezza e destinato ad orientare le politiche nazionali verso forme di controllo e di chiusura delle frontiere Schengen a detrimento della garanzia dei diritti umani, dello stato di diritto e dei trattati internazionali. La decisione francese di sospendere per 3 mesi la Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, l’inasprimento dei controlli in area Schengen che rischiano di tradursi in vera e propria sospensione per due anni della libera circolazione in Europa, la proposta, sempre francese, di poter revocare la cittadinanza acquisita per ragioni di “sicurezza” sono segnali estremamente negativi frutto di un vero e proprio Stato di guerra a volte apertamente enunciato, più spesso strisciante. Così come lo sono le sempre più frequenti espulsioni per asserita pericolosità, effettuate con procedure sommarie e lesive dei diritti fondamentali.
 
Il quadro attuale, gli obiettivi e le azioni della campagna
LasciateCIEntrare continuerà a vigilare sui CIE, e su tutti gli altri centri nei quali con diverse modalità si realizza la limitazione della libertà personale dei migranti e della dignità, spesso in assenza di un’effettiva possibilità di esercitare i diritti di difesa. Continuerà una rigorosa attività di monitoraggio, ingressi (con parlamentari o attraverso richiesta di autorizzazioni) e visite periodiche per associazioni, organi di stampa, avvocati e parlamentari, allo scopo di verificare e denunciare le pratiche detentive e i luoghi nei quali si realizzano prassi amministrative in contrasto con le Direttive dell’Unione Europea e con la Costituzione italiana, chiedendone la chiusura.
Il sistema che si va ridefinendo in Italia ed in Europa prevede la nascita di hotspot, luoghi in cui separare chi ha il diritto di chiedere asilo o protezione da chi deve essere rimpatriato. I migranti ritenuti possibili destinatari di protezione dovrebbero essere tradotti negli Hub (uno per regione) che dovrebbero fungere da luoghi di smistamento delle persone. Dopo un periodo di permanenza negli Hub, dovrebbe avvenire il trasferimento in centri stabili di accoglienza, piccoli e proporzionati nel numero di accolti al territorio (una percentuale non superiore complessivamente allo 0,15 % della popolazione residente). Un progetto che sta rapidamente franando di fronte al numero costante degli sbarchi ed al blocco delle operazioni di rilocazione verso altri paesi UE, su cui si era basata, e quindi giustificata, la introduzione degli Hot Spots.
La Campagna intende dunque monitorare il sistema di accoglienza nelle sue diverse forme che da un lato costruisce sbarre di recinzione per separare respinti, accolti e accoglienti, e poi, in troppi casi, alimenta pericolosi percorsi di esclusione sociale.  
Nel frattempo, continuando a vigere una condizione emergenziale, una parte consistente delle persone arrivate (ad oggi il 72%) finiscono col transitare per mesi nei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) che dovrebbero avere un carattere temporaneo.
Appare sempre più evidente, del resto, come solo una parte minima delle persone attualmente giunte potrebbe, in base ai dettami dell’Agenda europea e sulla base di una ancora non definita disponibilità dei singoli Stati, essere allocata in altri Paesi europei, in un percorso di reinsediamento. Comunque i vincoli che limitano lo spostamento delle persone, ed aggravano la tensione nei paesi di primo ingresso, a partire dal Regolamento di Dublino, non verrebbero messi assolutamente in discussione. 
Le operazioni di ricollocamento (relocation) dovrebbero verificarsi solo in base alla disponibilità dei singoli Stati che avrebbero dovuto selezionare i singoli profughi in base alle predefinite possibilità di inclusione socio – economica, a prescindere dalla vicenda umana, dalle potenzialità, dalle attitudini e dal la volontà e le esigenze delle persone stesse
I perdenti di questa lotteria., i respinti, gli scartati, i diniegati, rimarrebbero sul territorio nazionale con un ordine di allontanamento impossibile da eseguire e dunque periodicamente sottoposti ad arresti ed internamenti?
Da questo quadro la Campagna LasciateCIEntrare trae alcuni elementi di riflessione indispensabili nel definire i propri obiettivi e le azioni di monitoraggio dei prossimi mesi.
  1. 1) Non avendo ancora alcuna base legale, sembra sempre più evidente che i nuovi Hot Spots e gli Hub “chiusi” diventeranno, per ragioni di controllo, simili ai CIE. Quindi saranno luoghi limitativi della libertà personale sia coloro che vi vivono che coloro che desiderano entrarvi ed il destino di chi vi verrà rinchiuso non sarà regolato da norme definite ma dalla discrezionalità di autorità amministrative, dunque dalle Prefetture e dalle Questure, o dagli Enti Gestori. Ricordiamo a tale proposito che i richiedenti asilo che riceveranno un diniego, potrebbero essere trattenuti in dette strutture fino all’esito del ricorso (anche 12 mesi) che, se negativo, (come avviene in gran parte dei casi) potrebbe portare immediatamente al rimpatrio verso paesi che, anche se lacerati da conflitti o governati da dittatori, saranno considerati “sicuri”.
  2. 2) Alcuni CIE ora chiusi e alcune strutture (soprattutto caserme) utilizzate per l’Emergenza Nord Africa come CAI (Centri di Accoglienza e Identificazione) dovrebbero riaprire a breve e non si sa in quale forma. Il CIE di Trapani Milo è stato recentemente convertito in Hot Spot, ma senza che siano esplicitate le basi legali sulle quali si fonda questa modifica di destinazione. Altri centri di prima accoglienza come quelli di Pozzallo e Lampedusa funzionano come centri di identificazione nei quali si limita a tempo indeterminato la libertà personale, in assenza di un controllo giurisdizionale.
  3. 3) Il proliferare di strutture di accoglienza di tipo “privato”, nella maggior parte dei casi prive degli elementi di base che possano consentire di considerarle strutture idonee a garantire un’accoglienza dignitosa nel tempo, rischia di alimentare gli episodi di corruzione e di speculazione sulle risorse destinate al loro funzionamento, senza un valido controllo che a nostro avviso deve essere esercitato dall’ente di prossimità (preferibilmente il Comune) ma che deve essere consentito ad ogni espressione indipendente della società civile.
  4. 4) La questione dei rimpatri e dei respingimenti in frontiera (da Ventimiglia al Brennero a quelli ipotizzati dal governo italiano verso chi arriva da paesi ritenuti incompatibili con le richieste di protezione) rischia di creare altre gabbie interne alle zone aeroportuali e portuali, o comunque di frontiera e di limitare il diritto alla difesa di chi si trova prigioniero fra due confini. Deve quindi essere consentito e garantito l’accesso alla difesa e l’accesso delle associazioni della società civile per un’opera di monitoraggio.
  5. 5) La politica nazionale sta dimostrando una pressoché totale inadeguatezza nell’affrontare con un minimo di progettualità tali tematiche, senza restare confinata alle misure di carattere unicamente repressivo, le uniche sulle quali sembra possibile raggiungere un accordo a livello europeo. La Commissione Parlamentare di Inchiesta sui CIE e in generale sull’accoglienza, richiesta sin dal 2004, sta agendo, per quanto ci è dato sapere, in maniera estremamente prudente nonostante abbia un ruolo definito e limitato nel tempotanto che non potrà garantire la necessaria continuità nell’azione di controllo capillare sul vasto e frammentato sistema dell’accoglienza. E mentre questo sistema muta giorno dopo giorno, la Commissione non ha ancora, a nostro avviso, comunicato un impegno ed una volontà tali da proporre elementi di discontinuità col passato. Eppure è sotto gli occhi di tutti come sarebbe necessario che tale organismo, dotato dei poteri di indagine dell’autorità giudiziaria, si recasse con maggiore frequenza nelle zone critiche di cui è pieno il Paese per conoscere meglio le condizioni di vita e le dimensioni quantitative di un disastro annunciato, quello dell’accoglienza che dopo una prima fase di forte compressione della libertà personale, viene dispersa in mille rivoli che spesso causano conflitti (più o meno fomentati) con le popolazioni autoctone circostanti. 
  6. 6) La politica europea, malgrado gli sforzi di singoli esponenti, è stretta fra gli egoismi nazionali, influenzati da fattori che coinvolgono tutti gli Stati: la crescita di forze xenofobe e populiste, l’incapacità di elaborare proposte da rendere funzionali e utili a tutto il territorio dell’Unione. Come Campagna abbiamo il compito di contribuire ad una consapevolezza diffusa che dimostri come le misure seguite siano dannose, inutili, costose e fallimentari. Accoglienza diffusa, impegno comune europeo, ruolo politico dell’UE anche nei confronti degli Stati membri, sostegno economico all’accoglienza sistematica e contrasto alle logiche proibizioniste, debbono far parte di una nostra vera e propria proposta politica. O asilo, accoglienza, protezione, corridoi umanitari diventano sistema UE o si resterà schiavi di una logica emergenziale. 
L’attività della campagna LasciateCIEntrare, fermo restando la necessità di dover anche in tempi rapidi rapportarsi ad ulteriori mutamenti di quadro, dovrà concentrarsi su alcuni obiettivi.
  1. a) Ribadire il proprio ruolo di indipendenza da ogni forma di condizionamento politico o di ogni altra natura in nome di un duplice obiettivo comune: “La libertà dei cittadini e delle cittadine migranti a muoversi in sicurezza e dignità” e “la garanzia di trasparenza e accesso, garantiti dal monitoraggio da parte della società civile. È partendo da questa affermazione che la nostra azione non accetterà i limiti imposti dalla distinzione forzata fra richiedente asilo e migrante economico, imposta dagli organismi nazionali e internazionali.
  2. b) Far emergere le contraddizioni che i sistemi di concentrazione e accoglienza producono, rivolgendosi in prima istanza soprattutto all’opinione pubblica, valorizzando la presenza delle associazioni locali che da sempre si occupano dei temi dei diritti dei migranti 
  3. c) Svolgere attività di ricerca ed un’analisi del sistema di accoglienza, dei CAS e degli Hot Spot e in tutti i luoghi in cui si determinano i rimpatri, nelle aree di frontiera portuali e aeroportuali e, laddove possibile, nelle comunità per minori, nonché negli spazi informali di pernottamento per profughi (tendopoli, container, ecc). 
 
  1. d) Questo presuppone che una parte consistente delle energie della campagna, da ampliare con l’innesto di nuovi contributi, anche a livello locale, dovrà andare oltre il lavoro di advocacy e di denuncia.  Occorre sviluppare una più diffusa capacità di ricerca e di monitoraggio capillare, dislocando tutte le forze disponibili nei nuovi luoghi della cosiddetta accoglienza, temporanea o stabile, nei centri che saranno preposti al rimpatrio, in modo da fornire una tutela più estesa a quanti vengono trattenuti o accolti in luoghi privi di uno statuto legale preciso, oltre ad una informazione immediata in merito a quanto in questi luoghi avviene, spesso nel silenzio più assoluto.  
 
  1. e) Rimane immutato il metodo di adesione alla campagna così come all’attività di monitoraggio, denuncia, advocacy, assistenza legale, (effettuata di fatto da legali con cui collaboriamo e che intervengono in base alle necessità), attività di comunicazione, che questa metterà in campo. Si tratta di una campagna della “società civile” a cui si aderisce senza perdere la propria autonomia come soggetti singoli o collettivi, aperta e circolare nei meccanismi di comunicazione e presa di decisione, a partire dal coordinamento nazionale e a discendere sui vari livelli operativi. Uno spazio aperto a proposte, suggerimenti e ingressi di associazioni e attivisti, in cui le decisioni strategiche vengono prese mediante il metodo del consenso e quelle che riguardano emergenze e fatti su cui si ritiene opportuno prendere posizione e intervenire, a maggioranza. 
Un progetto di lavoro ambizioso e di difficile realizzazione ma urgente e necessario, in cui chiediamo a chi vuole impegnarsi, di aiutarci e di operare insieme a noi.

Lascia un commento