E’ opinione comune, quando si parla di richiedenti asilo, supporre che le violenze e i soprusi siano avvenuti al di là del Mediterraneo, nei paesi di origine o durante il percorso migratorio. Non si pensa quasi mai ai modi attraverso i quali la violenza viene perpetrata nel paese di accoglienza e all’interno dei luoghi ad essa deputati.
Uno di questi è l’abbandono istituzionale, anche davanti a situazioni di profonda vulnerabilità e sofferenza, ad esempio nel caso di donne in gravidanza e di minori.
A Rogliano, paese sul cui territorio sorge un CAS sempre più simile a un CARA (dato il numero elevato di migranti ospiti all’interno dell’ex hotel “La Calavrisella”), da qualche tempo è sorta una nuova struttura di accoglienza.
E’ gestita dall’Associazione “Alone Cosenza Onlus” di Shyama Bokkory – ex sindacalista ANOLF-CISL – e ospita 10 richiedenti asilo: 2 nuclei familiari, un nucleo monoparentale e 2 donne sole. Li abbiamo conosciuti nel mese di febbraio quando in seguito a una serie di proteste volte a rivendicare il loro sacrosanto diritto di ricevere un’accoglienza dignitosa, la responsabile del centro aveva chiesto alla Prefettura di emettere un preavviso di revoca delle misure dell’accoglienza nei confronti di quattro richiedenti asilo. Nei mesi successivi la situazione è peggiorata ulteriormente.
Le persone vivono ai limiti della dignità materiale e sociale. Da oltre due mesi, ci riferiscono, non viene loro erogato il pocket-money. I minori non ricevono alcuna tutela.
Le donne ci raccontano di essere costrette a provvedere attraverso la misera somma dei pocket-money all’acquisto del cibo, delle creme, dei pannolini per i bambini.
Quindici giorni fa, in seguito all’ennesima protesta all’interno della struttura, le persone ospitate all’interno del CAS Alone ci raccontano che la signora Shyama Bokkory ha deciso di sospendere l’erogazione dell’energia elettrica e l’acquisto dei generi alimentari.
Sprovvisti anche del pocket-money che da tempo non viene più erogato, 7 adulti e 3 bambini si sono ritrovati all’improvviso senza cibo né corrente elettrica. E’ solo grazie all’intervento del vicesindaco del paese e di alcuni vicini di casa che le persone ospiti della struttura riescono a mettere un pasto caldo in tavola tutti i giorni.
La situazione appare particolarmente grave in virtù del fatto che all’interno della struttura vivono delle donne in stato di gravidanza. Gli esami medici, ci riferiscono, non vengono eseguiti.I farmaci prescritti dal pediatra ai minori non vengono acquistati.
L’acqua calda, secondo quanto ci raccontano, viene erogata solo due ore al giorno, anche durante l’inverno. E’ fatto divieto assoluto agli ospiti di utilizzare i bagni presenti nella struttura ad eccezione di uno solo per dieci persone.
Gli operatori che dovrebbero essere previsti in una struttura di accoglienza non esistono, eccetto un “sorvegliante” notturno (inserito nella struttura in seguito all’ultima protesta) che, qualche notte fa, rientrato ubriaco insieme ad un amico, ha provocato una lite in cui sono rimasti coinvolti una delle donne in stato di gravidanza e il marito. Nel corso di un’ulteriore lite, ci riferiscono, la responsabile del centro avrebbe percosso, attraverso un gesto estremamente umiliante, una delle ospiti con una riga da scuola.
Da una parte si registra la negligenza nell’erogazione dei servizi, dall’altra la pervasività del controllo e l’imposizione di regole ferree, come si faceva un tempo con i bambini a scuola. Come se non bastasse, le donne ospiti del CAS vengono additate dalla signora Shyama Bokkory come prostitute, secondo quanto riferiscono i vicini di casa. Donne che, oltre a convivere spesso con una serie di traumi, ferite psicologiche, solitudine, finiscono per essere vittime di una doppia discriminazione: sociale e di genere. Perché le loro fragili vite, sempre più spesso, finiscono nelle mani di privati che oltre che speculare sulla sofferenza di chi è sopravvissuto all’inferno libico si arroga il diritto di denigrare, calpestare, umiliarne le esistenze.
Negli ultimi giorni, una delle coppie presenti nella struttura, insieme ai due figli della stessa, è stata trasferita in un altro CAS nella provincia di Cosenza.