di Yasmine Accardo – Naufragi. Navi ONG bloccate in mare per ore in attesa di un porto di sbarco. Incendi devastanti dalla Sardegna alla Grecia alla Sicilia, la Calabria. Centri di “accoglienza” sovraffollati. L’Hotspot di Lampedusa che fino a 3 giorni fa vedeva al suo interno oltre 1700 persone. Navi quarantena sovraccariche con personale ridotto. E ancora deportazioni e trasferimenti alla carlona.
È uno scenario apocalittico, il solito, ennesimo e quindi sempre più atroce, quello che osserviamo in questa torrida estate. Nei mesi scorsi con continuità abbiamo evidenziato le criticità delle navi quarantena dove costantemente si ripetono proteste e situazioni di insufficiente assistenza. Benchè dal mese di febbraio vi siano a bordo operatori legali e venga dato accesso al diritto di protezione internazionale anche a chi proviene dai paesi sicuri, resta il dato di una misura insufficiente e costosa, che continua ad essere luogo di reclusione e non certo di assistenza efficace.
A bordo, gli operatori della croce rossa sono sotto stress e costretti a turni senza posa, massacranti, per sopperire a tutte le mancanze di un sistema tritacarne; operatori esausti. Un sistema pagato fior di quattrini agli armatori e che non riesce (vuole) nemmeno a far sì che vi sia personale sufficiente. Operatori sfruttati e spremuti fino all’osso “per rispondere all’emergenza”; in numero insufficiente rispetto al carico di lavoro, alla fragilità degli “ospiti” e al numero di persone a bordo che protestano, giustamente, perché si vedono recluse con informazioni spesso contrastanti sulla loro uscita dalla quarantena: ” scendiamo domani. No forse dopodomani. No forse tra 4 giorni”. Un’emergenza costruita ad hoc perché chi protesta resterà sempre dalla parte del torto, perché l’occhio dell’italiano medio continuerà a vedere solo l’effetto di una macchina così ferocemente articolata per creare continui focolai di tensione, malcontento, paura e rabbia. Un’imbuto doloroso dove viene spinto chiunque arrivi sulle nostre coste, con due strade avanti: venir schiacciato o reagire con ogni mezzo possibile.
Diversi tunisini, nonostante la richiesta di protezione internazionale si vedono consegnare sulla nave quarantena il trasferimento verso il CPR, perché così permettono le leggi, o l’invito a presentarsi in Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale il giorno successivo allo sbarco. Il criterio: del tutto arbitrario ancora e sempre. I tempi di trasferimento, permanenza in CPR e deportazione nelle ultime settimane sono ancora più rapidi: alcune persone dopo 7 giorni( tra hotspot di Lampedusa , nave quarantena e CPR in tutto) erano già a Tunisi.
Nel caos generale vengono separati nuclei familiari e donne con bambini appena nati si ritrovano a terra in centri del tutto inadeguati, dove i figli non ricevono nemmeno i vestiti, come accade nell’agrigentino.
“I più fortunati” vengono trasferiti sulle navi quarantena giusto il tempo di essere portati da Lampedusa a terra verso centri di accoglienza Covid sparsi in tutta Italia. In alcune situazioni, come a Valderice, trovano materassi a terra e bagni fatiscenti ad accoglierli. Da alcuni centri covid della provincia di Bergamo ci dicono che non capiscono se la loro domanda di protezione è stata incardinata, considerata o se alla fine della quarantena nell’hotel a tre stelle verranno sbattuti al CPR più vicino.
Altri, tra nuclei familiari e minori sono stati trasferiti in luoghi lontani da tutto, come in un Cas nella provincia di Viterbo, dove in mezzo al nulla non riescono a capire cosa sarà di loro tra mancata adeguata informativa, mancata mediazione e mancata assistenza: “vi prego fateci uscire di qui – ci grida al telefono un bambino di sette anni, solo con il padre tra i boschi in un casolare rimesso a nuovo per “l’accoglienza”.
Un meccanismo cieco che determina centinaia di focolai di protesta dal Cara di Caltanissetta a Pian di Lago, al cara di Crotone alle navi quarantena.
Proprio ieri, 7 agosto, al Cara di Caltanissetta l’ennesima protesta per un trattenimento di quarantena prolungato senza che le persone ne comprendessero il motivo “siamo disarmati. A mani alzate urliamo solo giustizia. Vogliamo tornare liberi! Quante quarantene dobbiamo fare e perché se siamo risultati negativi? Perché nessuno ci spiega niente?”
Tutto accade nel silenzio più assoluto, scosso soltanto quando vi sono episodi di fuga acclarati e strumentalizzati per dare dell’untore al migrante.
Nelle settimane precedenti una fuga massiccia di tunisini dal cara di Crotone si è risolta in una caccia all’uomo per tutta la zona intorno al CARA “con la ricattura di quasi tutti i fuggitivi”, tranne uno che, ancora oggi, dopo oltre due settimana,e risulta disperso: i compagni dicono sia morto, la famiglia non riceve dal giorno della fuga alcuna telefonata e per la Prefettura è un uomo in fuga che stanno cercando.
Ancora ieri S. ci scriveva per i trattamenti “da criminali” di cui sono stati oggetto i suoi fratelli nel CPR di Palazzo San Gervasio, prima di essere rimpatriati, dopo 3 giorni di reclusione,senza nemmeno considerare la richiesta di asilo: “libertà e democrazia sono solo uno slogan per farsi belli per voi europei. Se trattate così chi è in cerca di aiuto.. che fate a chi ruba, lo ammazzate?”
Oggi sarà giornata di nuove proteste, di nuovi trasferimenti ciechi,di deportazioni e di centri sovraffollati. Eppure dai territori ci viene segnalato di diversi centri che restano vuoti e che potrebbero accogliere dignitosamente; ma si è deciso che il sistema di accoglienza debba continuare a rappresentare bene la parabola dell’emergenza: quale mezzo migliore delle navi quarantena e dei maxicentri stracolmi .
Si è deciso di far continuare a morire in mare centinaia di persone e di massacrare chi arriva sulle nostre coste. Si è deciso, non a caso di rifinanziare la Guardia Costiera Libica “per salvare persone in mare” e riportarle nelle mani dei torturatori, continuando ad esternalizzare le frontiere e deportare. Quella stessa Guardia Costiera libica che minaccia apertamente proprio in queste ore le ONG del mare.
Un mondo, il nostro, che respinge con violenza. Un mondo in fiamme destinato ad autodistruggersi.