di Yasmine Accardo – “Anche oggi la polizia è venuta a bruciare tutto. Uno dei miei amici oggi è quasi morto”. E’ un messaggio che giunge a noi attraverso la rete dei gambiani il 19 agosto 2024 e riguarda i quotidiani accadimenti e la lotta dei migranti, che vanno avanti fin dal 2015, in Tunisia, vicino a Sfax, dove gli uomini e le donne in cammino improvvisano rifugi e ripari puntualmente distrutti insieme a tutte le loro cosedalla polizia tunisina. “In molti casi dopo aver distrutto tutto, caricano le persone sugli autobus e le portano nel deserto. Coloro che si salvano dai rastrellamenti vanno in giro in cerca di cibo ed acqua, ma la popolazione ha paura e chiude loro le porte, soprattutto perché sono tante le persone della società civile che, dopo aver fornito aiuto, sono state incarcerate”.
“Il mio amico è quasi morto. Ci hanno buttato addosso i lacrimogeni ed hanno bruciato tutto. Sembra che lottino contro di noi come una guerra. L’Italia li ha pagati per ucciderci tutti. Nessuno può aiutarci. Siamo tutti insieme, da tutti i paesi, insieme ed innocenti, ci attaccano come in guerra. Eppure continuiamo a combattere per i nostri diritti umani. Continuiamo a lottare. La situazione è grave ed urgente. Ci tolgono ogni cosa, telefoni, vestiti, tutto. Siamo in Tunisia. Non guardano in faccia a nessuno, nemmeno alle donne incinte. Ci sparano addosso”.
Le immagini sono quelle della guerra in corso quotidiana nelle frontiere della Tunisia: tende bruciate, persone ferite. “Smettetela di dare soldi alla Tunisia. Smettetela di fare affari sui nostri corpi. Noi lottiamo per la giustizia. Per la libertà. Tutti devono vedere quello che accade, la guerra che fanno contro gente innocente e disarmata. Solo sofferenza. Solo sofferenza. Smettetela di dare soldi alla Tunisia. Qui non possiamo fare niente. Non possiamo affittare una casa. Non possiamo lavorare. Non possiamo chiedere asilo. Nessuno ci fa fare niente. Siamo spinti ai margini dove ci sta solo persecuzione. Persecuzione. Che i leader del West Africa aprano gli occhi. Fate qualcosa. La donna italiana (Meloni) sta pagando la nostra persecuzione. Deve finire. basta”.
A questo grido nessuno risponderà, non ci saranno squadre di soccorso, né rifornimento di cibo ed acqua, nel quotidiano e banale rispondere agli ordini dell’Italia e della Commissione Europea: loro non devono arrivare, non devono superare la frontiera. Una politica di condanna a morte, una politica di guerra contro uomini e donne in cammino, armati solo della fame di diritti.
L’Unione Europea già dal 2011 ha inviato oltre 500 milioni di euro in Tunisia, utilizzati per aumentare la sorveglianza alle frontiere e pagare gli equipaggiamenti alla polizia e la “ristrutturazione” delle carceri. Soldi per bloccare e continuare ad alzare muri. Soldi per uccidere e massacrare, dentro quel piano politico di esternalizzazione delle frontiere di cui si vantano tanto i nostri governanti, anche in questi giorni, sorridendo alla riduzione dell’arrivo di migranti. Soldi che in nulla sono stati utilizzati per migliorare la situazione economica dei cittadini tunisini, che vivono una profonda crisi economica con un incremento importante di disoccupazione. Inoltre, ricordiamo che la Tunisia compare ancora nella lista dei paesi sicuri nonostante l’attacco quotidiano a diritti della società civile, minacciata di arresti in caso di manifestazioni, e gli arresti agli avvocati ed agli attivisti che si sono moltiplicati negli ultimi mesi. Chi si oppone al regime Saied viene perseguitato , arrestato e finanche torturato, come nel caso dell’avvocato Mehdi Zagrouba.
Kais Saied, legittimato anche dal nostro primo ministro Meloni, continua quindi ad essere sostenuto nel suo potere. Il 25 luglio 2021 in Tunisia Kais Saied con un colpo di forza congelò il parlamento e sciolse il governo a seguito di una crisi politica ed economica strutturale, rafforzando negli anni la deriva securitaria e repressiva, sciogliendo il consiglio della magistratura e cambiando la carta della Costituzione tunisina, uno dei documenti più importanti che seguirono alla primavera araba e che rappresentava una carta d’avanguardia sui diritti civili, verso una forma presidenziale. Un potere che ha portato a persecuzione contro i migranti, attivisti e chiunque si opponga alle sue politiche; sono decine gli esponenti politici ed i giornalisti accusati di complotto contro la sicurezza dello Stato che si trovano oggi in carcere, rischiando molti anni. Un potere del tutto schiavo ed asservito alle politiche di blocco e violenza dell’Unione Europea, che continua a costruire collaborazioni sempre più strette con la Tunisia.
I racconti di chi si trova bloccato nelle maglie delle frontiere tunisine sono sempre più agghiaccianti, dentro una narrazione quotidiana, ripetitiva, un “sottofondo” ai proclami che ci raggiungono attraverso le nostre asservite televisioni di stato che è continuamente necessario mostrare, evidenziare per continuare ad urlare e lottare perché si metta fine a all’ingiustizia delle politiche di morte europee.
Gli uomini e le donne in cammino continuano a combattere le frontiere e le violenze in corso, che non arresteranno il giusto flusso per la libertà di movimento, continuando a giocare a chi uccide di più e meglio per portare sulle giacche le medaglie di miglior killer di frontiera, come premio per il tirassegno.
E mentre scorrono le immagini di commozione sul naufragio di uno yacht di ricchi della parte “giusta” del mondo, al largo di Palermo, a seguito del quale decine di persone sono state spinte alla ricerca dei dispersi, si fa sempre più profondo il solco di rabbia per la morte ingiusta dei tanti migranti invisibili, dimenticati, dispersi ricordati a stento in qualche trafiletto sepolto sotto le scarpe laccate dei potenti, colpevoli quotidiani dello sterminio del popolo migrante.
Le persone in cammino arrivano sempre meno, uccise dai nostri governi in un silenzio insopportabile.