Un carcere trasformato in Cpr. La principale conseguenza dei cosiddetti “decreti sicurezza e immigrazione” (Minniti-Orlando e Salvini) in Sardegna sarà la ristrutturazione dell’ex casa circondariale di Macomer, in provincia di Nuoro, in un centro di permanenza per il rimpatrio. La struttura, finiti i lavori di sistemazione, dovrebbe ospitare un centinaio di “ospiti”, ma forse dovremmo scrivere “detenuti”. Secondo le direttive del ministero dell’Interno, già quest’anno dovrebbe entrare in funzione per una cinquantina di migranti. “I bandi di gestione sono già stati emessi – spiega Francesca Mazzuzi, referente per la campagna lasciateCIEntrare dell’isola -. Nelle intenzioni del ministro Matteo Salvini, come di chi l’ha preceduto e degli amministratori regionali e locali, questo dovrebbe fungere da deterrente per chi sbarca in Sardegna lungo la rotta algerina ma sappiamo bene che non ci sono deterrenti che reggono per chi non ha alternative a quella di scappare da fame e guerre  e per chi, come gli algerini, desidera fortemente un futuro migliore. Proprio come è stato per i Cie, questa struttura non servirà a nulla se non a raccattare facili consensi in campagna elettorale ed a calpestare i diritti di chi ha già sofferto troppo”. Contro il Cpr di Macomer si sono levate molte voci tra le quali quella dell’ex cappellano della casa circondariale, don Mario Cadeddu, che ha sottolineato come la struttura sia stata chiusa proprio perché non rispondeva ai parametri  minimi di legge previsti per la detenzione. “Un suo impiego come centro di rimpatrio mi sembra assurdo. – Ha dichiarato don Mario alla Nuova Sardegna –. La struttura non va bene per questo tipo di utilizzo e non è neppure adattabile. Le celle sono state considerate troppo strette anche per questo che doveva diventare un carcere di massima sicurezza. Pure gli spazi esterni sono ristretti. Non riesco a immaginare come vivrebbero queste persone che, oltre a tutto, scappano dai loro Paesi per disperazione. Diventerebbe una specie di lager”. Il parere negativo arrivato anche dalla Regione e dai Comuni interessati riguardo le condizioni peggiorative di detenzione previste dal nuovo decreto sicurezza non ha comunque fermato il ministro che ha ribadito la sua intenzione di farne un Cpr a qualunque costo. “Prima i sardi”, per l’appunto! “Il bando per l’affidamento è in corso – continua Francesca -. Sette ditte hanno concorso. Tre sono locali e quattro vengono dal continente. Tra queste c’è quella dal curriculum non esattamente promettente che ha gestito il Cara di Mineo, ed è anche quella che ha più probabilità di vincere la gara. Staremo a vedere. Nel frattempo come Campagna LasciateCIEntrare prepariamo la mobilitazione”. Cpr a parte, gli effetti del decreto “sicurezza” devono ancora sbarcare in Sardegna. A dispetto di chi urla di “invasione”, le presenze di rifugiati nell’isola è molto bassa ed in diminuzione. I dati del Viminale parlano di 2 mila 101 richiedenti asilo al 13 maggio di quest’anno. Poco più della metà delle presenze dell’anno precedente: 4 mila 155. “La nostra Regione non offre grandi attrattive occupazionali, e anche il settore agricolo non ha prospettive, così anche i migranti che presentano ricorso preferiscono andarsene prima di attendere la sentenza – continua Francesca -. Inoltre, l’isola è stata coinvolta in ritardo nella distribuzione dei flussi e nuovi arrivi praticamente non ce ne sono”. La contrazione del numero di Cas – 106 a fine 2018 contro 17 Sprar – è dovuta quindi più alla diminuzione delle presenze che al decreto Salvini, al quale sono comunque ascrivibili casi, difficilmente quantificabili, di revoca dell’accoglienza per i titolari della “vecchia” protezione umanitaria. “Gli effetti del decreto li sentiremo tra non molto, quando entrano in funzione i nuovi gestori. Attualmente sono in corso le procedure di affido per le provincie di Sassari e di Cagliari che sono quelle con la più alta percentuale di presenze. I tagli sono stati drammatici e dubitiamo che, con i nuovi capitolati di appalto, si riesca a garantire quei servizi come i corsi di lingua, la preparazione al colloquio con la commissione, gli accompagnamenti e l’assistenza sanitaria che già per le passate gestioni erano un punto dolente”. Altro punto dolente, la questione anagrafica. Nonostante le recenti sentenze dei tribunali, nessun Comune sardo ha concesso l’iscrizione ai richiedenti asilo. “Gli ufficiali dell’Anagrafe non vogliono esporsi e le amministrazioni fanno orecchie da mercante. Teniamo presente che in molti Comuni siamo prossimi alle elezioni – conclude Francesca -. A Cagliari inoltre, dopo il passaggio del sindaco Massimo Zedda al Consiglio Regionale, il Comune è stato commissariato e qualsiasi presa di posizione in merito è praticamente impossibile. L’unica strada sarà quella dei ricorsi al giudice”.