Di Dario Stefano dell'Aquila

Il rapporto di Amnesty International sugli Hotspot, rischia di essere rapidamente liquidato dal governo italiano con poche frasi di indignata difesa di ufficio. A nostro avviso, invece, la complessità delle tematiche sollevate e l'autorevolezza dell'organizzazione, meriterebbe una ben più approfondita discussione, oltre il tema dei maltrattamenti che pure vogliamo qui affrontare.

In primo luogo, una questione generale di metodo. Amnesty nel corso della redazione del rapporto ha scritto al Ministro degli Interni chiedendo chiarimenti su alcuni punti emersi dalle interviste ai rifugiati e richiedenti asilo, senza ricevere risposta. Noi pensiamo che la capacità delle istituzioni di interloquire con le organizzazioni non governative, anche in modo aspro, entrando nel merito delle tematiche sollevate, sia un indice di trasparenza e  maturità democratica.

In secondo luogo, il rapporto di Amnesty solleva come questione “politica” il nuovo sistema degli Hotspot che, è bene ricordalo, è stato fortemente voluto in sede di Unione Europea e ne evidenza il limite principale. Prima dell’introduzione dell’approccio hotspot, scrive Amnesty, «la gran parte degli arrivati era automaticamente avviata alla procedura del sistema d’asilo, dopo (..) una delle misure prioritarie richieste all’Italia (…) è stata invece l’immediata identificazione dei “migranti irregolari” con l’obiettivo di accelerarne l’espulsione». Da questa trasformazione, derivano due conseguenze esaminate nel rapporto. La prima che l'indirizzo politico voluto dalla Commissione europea, figlio della logica di Dublino, favorisca la violazione del principio di non refoulement, determinando respingimenti  indiscriminati le persone di persone esauste che, al  termine di un viaggio pericoloso e traumatizzante, non hanno informazioni adeguate sui loro diritti e che sono penalizzate per non chiedere l'asilo immediatamente al loro arrivo. La seconda conseguenza è che le esigenze di identificazione con le impronte digitali diventino prioritarie rispetto ad ogni altra valutazione, anche rispetto a garantire una immediata accoglienza a chi è appena sbarcato. Lo testimonia anche il recente caso di Palermo (8 novembre scorso) con centinaia di migranti lasciati in attesa sulla nave Dattilo, sotto pioggia e vento, perché le disposizioni  prevedevano che andassero identificati a gruppi di cinquanta. Come ha dichiarato un addetto all'accoglienza ai giornalisti di la Repubblica, «non è umano, anche perché i gazebo a terra sono vuoti. Ma è la procedura».

Qui veniamo al secondo punto, quello della violazione dei diritti. E' importante sottolineare come non esista alcuna procedura legislativa che disciplini le modalità per prendere le impronte. Questa delicata procedura è regolata con disposizioni di carattere amministrativo il che affievolisce fortemente ogni forma di tutela e non chiarisce quali siano i limiti dell' “uso della forza”. Poi, riteniamo che come sia scorretto generalizzare o mettere in discussione in toto la professionalità delle forze di polizia e delle persone addette all'accoglienza (cosa che del resto Amnesty non fa), è altrettanto inopportuno procedere a difese di ufficio che non accertino caso per caso, episodio per episodio, se quanto raccontato da un migrante corrisponda al vero. Le difese di ufficio danno dimostrazione di spirito corporativo, ma hanno lo sguardo corto. L'accertamento puntuale dei fatti, invece, garantisce tutti senza lasciare ombre che non saranno mai dissipate. Come Campagna LasciateCIEntrare abbiamo negli anni raccolto molte segnalazioni che testimoniano di trattamenti degradanti nei CIE (prima nei CPT) e di condizioni inumane. In alcuni casi, come quello di Lecce, le violenze subite dai migranti son state accertate in sede processuale, ma il più delle volte restano lettera morta.

Fermo restando l'esigenza di una riflessione politica che ripensi l'intero sistema, possiamo nel mentre evitare che, a garanzia di tutti, i CIE e gli Hotspot siano luoghi trasparenti e accessibili, aperti al controllo dei parlamentari, dei consiglieri regionali, dei giornalisti, delle organizzazioni non governative, della società civile? Se oggi persino i parlamentari fanno fatica ad accedere in questi luoghi, come possiamo pensare che un rifugiato riceva una adeguata tutela e sia garantito nei propri diritti.

Il Presidente della Repubblica, nel suo discorso di insediamento ha parlato dei rifugiati come di  «un'emergenza umanitaria, grave e dolorosa, che deve vedere l'Unione Europea più attenta, impegnata e solidale» e ha poi detto «mi auguro che negli uffici pubblici e nelle istituzioni possano riflettersi, con fiducia, i volti degli italiani».

Ecco, noi vorremmo che nelle istituzioni si possa riflettere con fiducia anche il volto dei migranti, dei rifugiati, dei richiedenti asilo, perché ci siamo così abituati a prendere impronte che abbiamo reso questi volti invisibili. 

Noi, per parte nostra, continueremo a fare il nostro meglio a fianco di Amnesty e dalla parte dei diritti.

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