Il nuovo Ministro dell'Interno chiude il 2016 prospettando inquietanti scenari per l'anno appena iniziato: in nome del delirio securitario che vede in ogni migrante un potenziale terrorista, qualche giorno fa il capo della polizia Gabrielli ha diramato una circolare in cui si prevede l'apertura di un Centro di Identificazione ed Espulsione in ogni Regione italiana.
Il nostro territorio ha vissuto direttamente, fino al novembre 2013, l'aberrante realtà del sistema CIE. Il mostro di Gradisca d'Isonzo, per anni indicato come "uno dei CIE peggiori d'Italia", nei suoi anni di infame attività ha prodotto innumerevoli notti in cui il silenzio veniva squarciato dal rumore dei lacrimogeni sparati direttamente addosso ai migranti, piogge di psicofarmaci usate per "rendere gli ospiti più mansueti", manganellate a volontà per chiunque osasse protestare contro quell'inferno di sbarre e grate che non permettevano neanche di vedere il cielo. Da tutto questo tentava di scappare Abdelmajid El Kodra in una notte di agosto del 2013, un tentativo di fuga che gli è costato la vita. Majid aveva poco più di trent'anni e la sua colpa, la stessa che condivideva con decine di compagni di cella, era di non avere i documenti in regola. Come molte altre persone, morte di CIE in altre regioni italiane, Majid è morto a causa di una burocrazia cieca, razzista e profondamente inumana.
Sebbene in questi due anni le gabbie del CIE siano rimaste aperte per diventare luogo di "accoglienza" (assai contraddittoria) per i richiedenti asilo in arrivo in Regione, questo territorio non può e non deve dimenticare i soprusi e le quotidiane violazioni dei diritti umani che si sono consumate per anni all'interno di quelle mura. Chiunque abbia visitato il CIE di Gradisca, con la sua struttura di grate d'acciaio, gabbie e reti, non può ingnorare che si tratta di una struttura pensata e realizzata per annichilire l'essere umano, una vergogna per un Paese che vuole definirsi democratico. In un momento in cui anche la Presidente Serracchiani auspica il rimpatrio "di chi non si integra" , la sola ipotesi di apertura di un CIE nella nostra Regione, che sia a Gradisca o in qualsiasi altro luogo, deve necessariamente trovare una risposta netta e univoca da parte di chiunque abbia a cuore il rispetto della vita umana e dei diritti: nessun CIE in Friuli Venezia Giulia, nè domani nè mai!
Dal 1998 ad oggi sono morte almeno 25 persone nei CIE italiani: morte per le botte, per il mancato soccorso, per la disperazione. Morte perchè private della propria libertà personale in nome della burocrazia. Per noi queste persone non sono numeri, non sono "danni collaterali" ma sono la diretta conseguenza di un sistema che si vorrebbe resuscitare e potenziare oggi con la falsa promessa della sicurezza,agitando il sempre comodo spauracchio del terrorismo.
Se il Ministro dell'Interno vuole iniziare l'anno attaccando i diritti e mettendo in discussione le conquiste di questi anni (al momento i CIE attivi in Italia sono 5), la nostra risposta sarà puntuale.
Invitiamo attivisti e cittadini solidali con il messaggio antirazzista a ritrovarsi sabato 7 gennaio alle ore 15.30 di fronte ad un luogo che per anni è stato simbolo della delirante gestione del CIE di Gradisca: la Prefettura di Gorizia.
Qui ricorderemo simbolicamente tutti i morti di CIE in Italia e racconteremo ancora la storia, esemplare, del CIE di Gradisca per ribadire che non vogliamo che questa storia si ripeta nè a Gradisca nè altrove!
Per adesioni scrivere a tendapace@gmail.com