di Francesca Mazzuzi – La bozza aggiornata della manovra finanziaria 2023 presentata il 28 novembre in Parlamento prevede, all’art. 120, un ampliamento della rete dei Centri di permanenza per il rimpatrio con la finalità dichiarata di “rendere più efficace l’esecuzione dei provvedimenti di espulsione” degli stranieri. Nella gestione dei flussi migratori si conferma la stretta correlazione tra ingressi in Italia e operazioni di rimpatrio, da qui la conseguente necessità di impiegare decine di milioni di euro, non per accogliere, orientare e includere, ma per aumentare i posti in detenzione, intervenendo sulle “criticità connesse alle insufficienti capacità ricettive dei CPR”.

Per ovviare a quella che ancora oggi viene definita una situazione “emergenziale” di flussi in ingresso e a fronte di una stima di oltre 500 mila presenze di cittadini stranieri che non possiedono un regolare permesso di soggiorno per permanere in Italia, anziché prevedere procedure strutturali di regolarizzazione, si sceglie, invece di incrementare di 206 posti la capienza complessiva dei Centri per il rimpatrio. I 10 CPR attivi (Torino, Gradisca d’Isonzo, Milano, Ponte Galeria-Roma, Palese-Bari, Restinco-Brindisi, Palazzo S. Gervasio, Pian del Lago-Caltanissetta, Milo-Trapani, Macomer) possono detenere (almeno in teoria) 1378 persone, nella realtà i posti disponibili sono molti meno.

Poco più della metà dei nuovi posti (106) saranno realizzati attraverso l’ampliamento di due dei CPR già attivi. Quello di Macomer (Nuoro) sarà aumentato di 50 posti, arrivando così a una capacità di 100, come originariamente previsto al momento della sua attivazione; l’altro CPR che verrà potenziato è quello di Pian del Lago che passerà da 92 a 148 posti.

Altri 100 posti saranno creati con nuove strutture o individuandone alcune tra quelle pubbliche già esistenti da convertire in CPR. Viene, inoltre, ribadito che i nuovi centri siano individuati, sentito il parere dei “Presidenti delle regioni interessate, sulla base di criteri che privilegiano un rapido e agevole accesso alle stesse”. Da tempo si parla di istituire un nuovo CPR in Toscana, con il parere favorevole di alcuni esponenti politici locali, come confermato anche in occasione di della Conferenza regionale delle Autorità di Pubblica Sicurezza tenutasi presso la Prefettura di Firenze il 1 dicembre appena trascorso.
I lavori per la realizzazione dei 206 nuovi posti sono previsti per l’estate 2023 con una spesa che ammonta a 35.982.400 euro così distribuita nel triennio 2023-2025: 5.397.360 per il 2023, somma triplicata per il 2024 (14.392.960 euro) e per il 2025 (16.192.080 euro). Nello specifico il costo per i 50 posti del CPR di Macomer è di 6.460.800 euro, i 56 di Pian del Lago, secondo quanto indicato da Invitalia, in quanto stazione appaltante, è 16.600.000 euro. Mentre la spesa per i 100 posti in nuove strutture è stimata in 12.921.600 euro.

L’ampliamento della rete della detenzione amministrativa comporta non solo costi per la realizzazione di nuovi posti, ma anche ulteriori spese di gestione per le quali si prevede un incremento di 6.063.539 euro per il triennio 2023-2025 (260.544 per il 2023, 1.730.352 per il 2024 e 4.072.643 per il 2025).
Le disposizioni che riguardano l’ampliamento dei CPR sono contenute nel “Titolo IX” del disegno di legge appena presentato, quello dedicato a “Difesa e sicurezza nazionale”. Non ci si potevano aspettare proposte differenti da un governo i cui esponenti, ancora più dei loro predecessori, sono da anni impegnati in una propaganda di criminalizzazione dello “straniero” e di chi è solidale con le persone in movimento, costrette a rischiare la vita nell’attraversamento delle frontiere a causa di politiche migratorie che impediscono il diritto alla libera circolazione e a una vita dignitosa. Proposte che attuano quanto previsto dalla legge 46/2017 (di conversione del cd “decreto Minniti”) che già aveva stabilito le modalità per la dislocazione territoriale dei nuovi CPR, prevedendone l’apertura di uno in ciascuna regione.

Ancora una volta l’unica soluzione avanzata è di tipo repressivo, nonostante le evidenze abbiano dimostrato, da oltre vent’anni, che la detenzione nei centri per il rimpatrio non costituisce un deterrente per i flussi migratori considerati “indesiderati”, ma aumenta solo il numero di persone che patiscono condizioni di vita inumane e degradanti.