Leggiamo con attenzione e interesse la replica dell’Associazione San Biagio onlus al report pubblicato dalla Campagna LasciateCIEntrare in data 6 novembre 2017. Con la presente nota intendiamo contro-replicare alla stessa per fornire una corretta informazione e perché riteniamo importante specificare quali siano le nostre modalità operative durante le visite di monitoraggio. In tali occasioni non siamo mai pregiudizievoli e tendiamo a verificare le informazioni che riceviamo confrontandoci con i gestori e con gli ospiti dei centri. Lo dimostra il fatto che il report “incriminato” è stato pubblicato ben sette mesi dopo la prima visita, tempo durante il quale abbiamo avuto modo di verificare tutta una serie di notizie riportate nel documento. Ha ragione il presidente dell’Ass. San Biagio onlus quando evidenzia che “non corrisponde al vero che gli attivisti della Campagna LasciateCIEntrare abbiano effettuato una serie di visite di monitoraggio all’interno del centro di accoglienza straordinaria di Roggiano”, proprio perché è una cosa che non viene assolutamente riportata nel report. Nel documento, infatti, viene ben precisato che è stata effettuata una prima visita a Roggiano Gravina il 29 aprile 2017 e, in quell’occasione, nessun membro della Campagna è entrato nel centro in quanto, pur avendolo gentilmente richiesto a colui che si è presentato come responsabile, e agli operatori con i quali abbiamo interloquito, ci è stato risposto che non saremmo potuti entrare “neanche con i carri armati”. Le visite successive hanno riguardato dei colloqui, ovviamente all’esterno della struttura, con “gli ospiti del centro e alcuni abitanti del luogo che nel tempo sono entrati in contatto, a vario titolo, con il gestore e l’organizzazione interna”. Non si è, dunque, profilata alcuna condotta delittuosa da parte nostra, così come non si profila in nessuna visita da noi effettuata. Conosciamo bene la normativa in materia e, per tale motivo, entriamo all’interno di centri governativi solo quando tale possibilità ci viene concessa dall’ente gestore. Per quanto riguarda l’originaria struttura adibita all’accoglienza, è buona norma che le verifiche di idoneità si effettuino prima di accogliere le persone e non dopo l’emergere di “criticità non comunicate in fase di sopralluogo e di stipula del contratto”. La mancanza di riscaldamenti è una criticità non da poco se si pensa che il centro sia stato attivato in inverno. Inoltre, in base alle manifestazioni di interesse,per l’individuazione di operatori economici ai quali affidare il servizio di prima accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale e la gestione dei servizi connessi, pubblicate dalla Prefettura di Cosenza nel 2016 e nel 2017, nel paragrafo dedicato al “luogo di esecuzione del servizio” si fa riferimento al fatto che “Le strutture dovranno essere conformi agli strumenti urbanistici vigenti, dotati dei requisiti previsti dalla vigente normativa sull’agibilità nonché rispondenti alle prescrizioni in materia di conformità degli impianti e di prevenzione incendi. Tali requisiti dovranno essere documentati al momento di stipula della convenzione”. Idoneità delle strutture richiesta anche come requisito tecnico da possedere da parte dell’aspirante ente gestore di centri di accoglienza straordinari (bando 2017). Inoltre, nella convenzione stipulata con la Prefettura (un pro-forma è allegato ai bandi) si riporta ,al punto b dell’art.2 della sezione dedicata ai servizi di gestione amministrativa da assicurare da parte dell’ente gestore, il “Controllo e verifica della piena adeguatezza ed idoneità delle strutture messe a disposizione, nonché della piena funzionalità ed efficienza dei relativi impianti”. Per quanto concerne l’iter per il riconoscimento della protezione internazionale, nel report è scritto che “[…] Alcuni affermano di aver fatto richiesta al momento dello sbarco a Pozzallo o Lampedusa […]”. È plausibile che gli ospiti sbarcati nei suddetti porti abbiano manifestato la propria intenzione di richiedere protezione internazionale al momento del proprio arrivo in quanto a Pozzallo e Lampedusa sono presenti due Hotspot, una tipologia di struttura introdotta con le Decisioni adottate in materia di “Hotspot Approach” dal Consiglio dell’Unione Europea nel mese di Settembre 2015 (decisione 1523 del 14 settembre 2015 e 1601 del 22 settembre 2015) e in cui una persona può manifestare la propria volontà di richiedere protezione internazionale. Inoltre, si evidenzia che, come riportato nel decreto legislativo n. 142/2015 (attuativo della Direttiva 2013/33/UE sull’accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale e della Direttiva 2013/32/UE sulla qualifica della protezione internazionale), una persona è qualificata come richiedente asilo/protezione internazionale nel momento in cui ha “manifestato la volontà di chiedere tale protezione” (cioè prima ancora di avere verbalizzato la richiesta) e chiarisce che le misure di accoglienza, le quali “si applicano dal momento della manifestazione della volontà” (art.1, comma 2), si riferiscono ai “richiedenti protezione internazionale nel territorio nazionale, comprese le frontiere e le relative zone di transito, nonché le acque territoriali, e dei loro familiari inclusi nella domanda di protezione internazionale” (art. 1, comma 1). Apprendiamo, ad ogni modo, con piacere che tutti gli ospiti sono provvisti del permesso di soggiorno temporaneo, pur rammentando che l’informazione rispetto alla formalizzazione della richiesta di protezione internazionale riportata nel report, è riferita al mese di aprile 2017. Lo stesso vale per le informazioni relative alle audizioni in Commissione, alla fornitura degli abiti, delle lenzuola, della presenza del solo mediatore di lingua inglese (informazione, quest’ultima, riferitaci dal responsabile con cui abbiamo interloquito in occasione della prima visita) e alla somministrazione del solo paracetamolo per qualsiasi malessere avvertito. Su quest’ultimo argomento, d’altronde, l’incompetenza e la confusione del responsabile del centro in merito a codice STP e iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale, è indicativa di come viene percepita l’assistenza sanitaria all’interno del CAS in oggetto. Sulla questione relativa al cibo, inoltre, non volendo in alcun modo mettere in dubbio la qualità e l’efficienza della ditta di catering che fornisce i pasti, chi ha un “costante confronto sulle esigenze derivanti dalle diverse etnie degli ospiti presenti” dovrebbe sapere che le abitudini alimentari degli stessi sono diverse tra di loro e rispetto a quelle della media degli italiani. Il cibo, dunque, pur risultando adeguato per le scuole del comune, potrebbe risultare non consono alle suddette abitudini alimentari, nonostante tale evenienza venga prevista nel format di convenzione allegato alle citate Manifestazioni di interesse. Per quanto concerne le proteste, ci teniamo a sottolineare che non si è mai riconosciuta la motivazione delle stesse nell’“indole aggressiva degli ospiti” o nelle“diverse nazionalità, ognuna con le proprie abitudini, orientamento religioso, lingua ed etnia, circostanze che occasionalmente provocano dissapori”, ma, bensì, nella richiesta di diritti che dovrebbero essere garantiti, nonché nella pretesa di aver erogati i servizi di accoglienza che l’ente gestore sarebbe tenuto a fornire in base alla convenzione siglata con la prefettura. Ricordiamo all’associazione San Biagio che i CPIA (Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti) sono una tipologia di istituzione scolastica autonoma e non dipendono dal Ministero dell’Interno, bensì dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) ,e i percorsi di alfabetizzazione e di apprendimento della lingua italiana destinati agli stranieri sono finalizzati al conseguimento di un titolo attestante il livello di conoscenza della lingua italiana. Si ricorda all’ente gestore che l’assistenza linguistica è un servizio di integrazione riportato nel format di convenzione con la Prefettura e che le manifestazioni di interesse pubblicate dalla Prefettura locale fanno esplicito riferimento al Manuale operativo dello SPRAR e ai servizi di accoglienza integrata da erogare. Tra tali servizi è riportata la frequenza di corsi di apprendimento e approfondimento della lingua italiana di almeno 10 ore settimanali. In assenza di servizi adeguati sul territorio è l’ente gestore che deve provvedere all’erogazione del corso.